28 settembre 2012

Realtà reale e sogno illusorio. Sicuri?

Heath_ledger_joker

Ieri sera ho (ri)visto il film “Inception”. Non tutto, solo dei pezzettini ogni tanto. Per chi non l’avesse mai sentito, è un film dell’anglofono europeo Christopher Nolan (lo stesso di Memento e degli ultimi tre Batman, tra gli altri) con il “titanico” Leonardo Di Caprio che interpreta il capo di una banda che entra nei sogni di alcune determinate persone per estrarre delle informazioni segrete nascoste nelle loro menti. Mi fermo qua perchè il resto è abbastanza complicato e non c’entra una mazza con quello che voglio dire.

In ogni caso, mi ha dato da pensare una frase. Scena: Di Caprio e la giovane ragazza, nuovo architetto della squadra (in pratica quella che progetta l’ambientazione del sogno), sono seduti fuori un bistrot di Parigi e parlano di varie cose inerenti i sogni, quando il biondino le chiede se riesce a ricordarsi come ha fatto ad arrivare lì, fuori dal baretto. Lei rimane di stucco, senza parole, e allora capisce di trovarsi in un sogno proprio perchè nei sogni non sai come hai fatto ad arrivare: sai solo che ci sei, sei lì, in quella situazione, qualunque essa sia.

Bam! Rimango folgorato e inizio a rimestare delle considerazioni oniriche ingerenti. Ripenso ad alcuni sogni che ho fatto nella mia vita, alle emozioni e alle sensazioni provate, e più ci penso, più mi accorgo che non ho la prova definitiva per poter concludere che questa sia la realtà e quelli “solo” dei sogni. Provo a spiegarmi meglio.

Tra le braccia di Morfeo, non si tratta soltanto di un’illusione, di qualcosa di non-reale: le emozioni sperimentabili in sogno sono forti, intense e vere almeno tanto quanto lo sono quelle vivibili qui. Mentre sogniamo noi siamo lì, in toto nel sogno: ne percepiamo l’ambiente, denso quanto quello reale, gli odori, i sapori; lo vediamo, lo sentiamo, ne siamo completamente immersi per quanto strano esso possa sembrare. Non solo riusciamo a percepirlo sul piano “fisico” ma anche su quello emozionale: amore, paura, gioia, frustrazione sono tutte presenti e chiaramente esperibili come lo sono nella realtà, se non addirittura a livelli superiori di intensità. Io ricordo distintamente un sogno di qualche anno fa nel quale, non so come, ero estremamente innamorato di una ragazza e ci trovavamo, mano nella mano, seduti su una panchina della stazione dei treni, con un bel sole del tardo pomeriggio estivo di fronte. Bene, l’emozione di quell’amore è stata la più intensa che abbia mai provato nella mia vita: qui, nel mondo reale, non ne ho mai vissuta una di quel livello, e la mattina dopo il sogno ero praticamente al settimo cielo, gioioso per aver provato una meravigliosa forza simile. Era reale: il mio corpo e la mia mente continuavano a vivere con quell’incredibile emozione dentro e la cosa è andata avanti alcuni giorni. Anche ora che lo sto scrivendo mi sembra di essere ancora là, su quella panchina, a rivivere in quella bellezza.

Oltre ad influenzare il piano emozionale reale, i sogni toccano anche quello fisico reale. Mi rivolgo specialmente ai maschietti, ma penso sia capitato anche a qualche rappresentante del gentil sesso. Non avete mai provato ad avere un sogno a sfondo erotico piuttosto intenso e di risvegliarvi nel momento esatto in cui state avendo un orgasmo? Nel mondo reale, intendo. Io sì, un paio di volte, e non è stato bello come si potrebbe pensare.

In pratica la mente crea un intero universo tridimensionale dal nulla, inserisce il suo avatar (noi), il quale non si accorge di stare vivendo una sua inconscia creazione, e ne fa esperienza piena ad un livello tale da “intaccare” anche il corpo e le emozioni della realtà.

Non dovrebbero esserci dubbi, in teoria: di notte sono solo sogni, il resto è reale. Eppure non riesco a trovare il fattore esclusivo della realtà (o del sogno), che ha solo lei (o lui) e che mi permetta di distinguerla (o distinguerlo) chiaramente dal sogno (o dalla realtà), quello che mi permetta di dire che la realtà è reale e il sogno è illusorio. La densità dell’esperienza dell’ambiente tridimensionale è la stessa in entrambi i casi: l’intensità fisica ed emozionale pure, se non addirittura superiore nel sogno: lo spazio c’è in entrambi: il tempo pure, in quanto a cambiare è solo la durata (il sogno è breve, la vita “vera” è leggermentissimamente più lunga).

Però però però, manca qualcosa. Manca la caratteristica primaria del sogno, quella tipica per definizione, quella che anche, e forse soprattutto, un bambino rompicazzo delle elementari associa al concetto di “sogno”: si può fare quello che si vuole. Nel sogno il mondo intorno a noi cambia che è un piacere, riusciamo a giocarci in infiniti modi, consci o inconsci, limitati solo dalla nostra immaginazione e dalla capacità di realizzare di stare sognando (il cosiddetto “sogno consapevole”). Il momento prima posso essere in una grigia megalopoli all’alba e l’attimo dopo mi ritrovo a combattere contro Pikachu sotto il pino di casa (ebbene sì: ho sognato anche questo, tanti anni fa. Chi ha vinto? Non lo so: il sogno è finito prima. Quindi significa che ho un conto aperto con Pikachu?).

In teoria dovrebbe essere questa la prerogativa finale del sogno, quella che consente di porre la realtà ad un piano superiore di… realtà rispetto al sogno. Giusto? Mmm, so mica… Se è vero che nella realtà non si può di punto in bianco dire “Adesso volo” e poi effettivamente ritrovarsi accanto ad un Boeing, è altrettanto vero che la realtà è comunque alterabile grazie al pensiero. E’ soltanto più complicato rispetto al sogno, ma è comunque vero. Riporto la mia ultima esperienza in materia e le “coincidenze” che la caratterizzano.

Un mese fa circa sono andato al cinema a vedere l’ultimo Batman di Nolan, “Il cavaliere oscuro – il ritorno”, e già qua dovreste capire qualcosa. Tornate a leggere l’inizio del post: c’è un po’ di ridondanza, neh? Comunque, l’ultimo film su Batman, ok. Esco dal cinema soddisfatto dall’aver visto un bel film, spettacolare al punto giusto, senza abuso di effetti speciali, una bella trama eccetera. Bello, mi è piaciuto, insomma. Qualche giorno dopo parto per una breve vacanza (quest’anno è andata di culo) e, come è giusto che sia, tutto il resto al di fuori della vacanza viene spedito in uno scatolone polveroso in soffitta nella mente. Al ritorno, però, essa ovviamente riprende a pieno regime le sue solite attività e il ricordo torna anche a Batman. Trovo i bluray dei primi due film a pochi euri e li prendo. “Cià, rivediamo ‘Batman Begins’ che non me lo ricordo neanche molto”. Bello, un degno inizio di una degnissima trilogia. Un paio di giorni dopo, “Cià, visto che sono preso bene, e che l’ho comprato, mettiamo su ‘Il cavaliere oscuro’ che c’è il Joker che è un figo”. “Stupendo, un film meraviglioso con una gran bella trama, un po’ poliziesco, un po’ (ma non molto) super-eroico e un po’ filosofico/metafisico dato lo scontro tra Batman (l’ordine) e Joker (il caos). Certe sfumature non me le ricordavo. E’ il Begins al quadrato: hanno voluto espandere il primo e osare, ottenendo un risultato incredibile. E vogliamo parlare di Heath Ledger e del suo Joker? Nettamente la migliore rappresentazione del Matto che abbia mai visto: psico-sociopatico da maledetto, infido e bastardo come mai prima, non sai mai cosa aspettarti da lui. Proprio il Joker che mi piace un casino: poco pagliaccio e molto cazzuto. E’ sempre stato uno dei miei personaggi preferiti dei fumetti/cartoni animati (il preferito dei cattivi) e qui è nella sua forma migliore”. Come avrete intuito, la mia scimmia per la trilogia di Batman diretta da Nolan, e per Joker in particolare, è proseguita in un continuo crescendo. Sono andato addirittura a riguardarmi il primo Batman di Tim Burton, che non vedevo più da eoni, giusto per richiamare alla mente il Joker di Jack Nicholson e compararlo con quello di Ledger (molto diversi. Io preferisco il secondo).

“Ok ma tutto questo che ‘zzo c’entra con i sogni, la realtà e il resto di cui stavi parlando prima di delirare per un cretino con un costume da carnevale?” C’entra, c’entra: è qui che arriva il bello. Da quando mi sono impuntato positivamente su Batman, me lo “ritrovo” ovunque. Giusto un paio di esempi: vado in un negozio di elettronica e sono lì che mi faccio i fatti miei, bello beato, quando origlio le parole di una coppietta lì vicina. Indovinate di cosa parlavano? Del paragone tra il Joker di Nicholson e quello di Ledger! Vado a vedere Prometheus (carino, ma niente di straordinario) e tra primo e secondo tempo i due vicino a me di cosa parlano? Del “Cavaliere oscuro” e “Il cavaliere oscuro – Il ritorno”, dicendo che il primo è più bello perchè c’è Joker. Ieri ho visto che in prima tv c’era Inception, dello stesso regista e con metà del cast dell’ultimo Batman. Stamattina apro il sito Memebase.com, nel quale gli utenti caricano foto con delle didascalie divertenti, i “meme”, sui fenomeni del momento, e mi imbatto in queste due immagini (non una, due!):

iJoker(link: http://cheezburger.com/6613327360. Caricato, al momento in cui scrivo, 17 ore fa, quindi intorno alle 23 del 27 settembre)

cHoRfg1IL0C_JEOfIosAFg2(link: http://cheezburger.com/6592551936. Caricato, al momento in cui scrivo, 19 ore fa, quindi intorno alle 21 del 27 settembre) 

Notare, in aggiunta, che “Il cavaliere oscuro” è uscito nel 2008: quindi proprio nuovissimo non è, non per i tempi di Internet nei quali parlano tutti di te per qualche settimana o, se va proprio bene, per qualche mese prima di finire improvvisamente nel dimenticatoio. A tal proposito, ecco un meme:

I fenomeni di Internet hanno la vita corta (non è fondamentale, ma per completezza specifico anche qua. Link: http://cheezburger.com/6608555264. Caricato due giorni fa, quindi il 26 settembre)

Ci sono altri episodi che ora non mi vengono in mente, ma fatto sta che ‘sto cazzo di Batman e quello che ci gira intorno ormai me lo ritrovo ovunque.

E questo è solo l’ultimo esempio di un fenomeno che noto ormai da circa 3 anni, più o meno da quando è iniziata la mia “seconda vita” in ambito spirituale. Sicuramente accadeva anche prima, ma non ci facevo caso. Altri esempi che ricordo bene sono: periodo “infatuazione possente per Bill Hicks” (fine 2008-inizio 2009: proprio in quel periodo, dopo più di 15 anni dalla cancellazione della sua performance al Letterman Show, proprio David Letterman invita in studio la madre di Bill e viene mostrata per la prima volta in assoluto la clip incriminata, che poi ho tradotto); periodo “Jimi Hendrix” (ovunque giro vedo i suoi video musicali. Quando poi l’esplosione iniziale di “amore estremo”, metà-fine 2009, è passata, anche la frequenza di visione “casuale” dei suoi video è diminuita fino quasi a sparire); periodo “Matrix” (citazioni in ogniddòve); periodo “separazione genitori” (fine 2010: ci sono rimasto talmente male… Per qualche mese, improvvisamente, quasi non passava giorno senza che venisse fuori la notizia di una separazione in paese o nelle zone circostanti, tra amici, amici di amici, conoscenti e amici di conoscenti, tanto che anche in famiglia ci meravigliavamo della straordinaria ascesa dei casi. Inutile dire che ora, di separazioni, nè io nè la mia famiglia sentiamo più nulla).

So che può sembrare assurdo e anche ai limiti della presunzione egocentrica, in un certo senso, ma è accaduto veramente e sta accadendo ancora. Sono sicuro che, se ci fate caso, noterete anche voi dei periodi “particolari” nella vostra vita quotidiana. Non è strettamente il singolo avvenimento in sè ad essere interessante, quanto il fatto che tu lo vedi/lo senti/lo vivi proprio in un determinato momento, al momento “giusto”. L’avvenimento accade e va bene, ma il bello è che tu, “incidentalmente”, ne vieni a conoscenza proprio nel periodo “migliore”.

Tornando al discorso principale, tutto questo è per dire che anche la realtà, al pari del sogno, è modificabile, influenzabile. Sicuramente in maniera minore, ma tant’è: nemmeno la modifica del mondo circostante è un fatto esclusivo del sogno e dunque, essendo anch’esso in comune con la realtà, non è decisivo nel distinguere nettamente la realtà come “reale” e il sogno come “illusione”. Tutti i fattori sono presenti, con intensità diverse, sia nella realtà che nel sogno: spazio, tempo, corpo, emozioni, pensieri, mente, modifica del mondo circostante.

Ma ne manca ancora uno, e cioè quello della frase di Di Caprio: nel sogno, non ci si ricorda di come si è arrivati in nella situazione in cui ci si trova. Beh pensandoci un nanosecondo, voi vi ricordate come avete fatto ad essere qui? Vi ricordate come siete nati? O quando eravate nel caldo e sicuro pancione di vostra mamma? Anche nella realtà, quindi, ci ritroviamo in una grande situazione, chiamata “vita”, senza ricordarsi di come abbiamo fatto ad arrivarci. Dunque, realtà e sogno hanno anche questo in comune.

Quindi, al momento attuale, non ho prove provate per differenziare una volta per tutte realtà e sogno: la conclusione attuale è che siano entrambi reali o entrambi illusori, scegliete voi. Una è più lunga, l’altro più breve.

Spero di essermi espresso in maniera intelligibile e di aver provocato anche qualche risata. D’altronde, quando si parla di sogni, non è improbabile che escano fuori delle scene epiche… Il mio invito è: provateci anche voi. Non è difficile: andate fuori di testa in positivo per qualcosa, dalle figurine delle Winx (no, stavolta io non c’entro) alla pace nel mondo, e notate cosa accade intorno a voi, quali esperienze/”coincidenze” attirate nel vostro quotidiano e godetevi lo show. Siete ancora sicuri che la realtà sia una cosa e il sogno un’altra?

Detto questo, fate come cazzo vi pare ;-)
Pace.

26 settembre 2012

Occupazione

Ricevo questa mail e la pubblico. Mi scuso per il ritardo, dato che mi è stata mandata ormai sei giorni fa.


Buongiorno,

vorrei chiederVi un aiuto, perchè il nostro caso merita un'attenzione mediatica che non abbiamo purtroppo ancora avuto.
Siamo in occupazione da 86 notti dormendo in un cantiere, che non ha nè luce, acqua e gas, nè porte e finestre.
La nostra avventura comincia nel 2005 quando abbiamo avuto la "sfortuna" di partecipare ad un bando del Comune di Ravenna, per un progetto che prevedeva la realizzazione di case in autocostruzione, ed abbiamo soprattutto avuto la sfortuna di entrare nella graduatoria che ci includeva in tale progetto.
Dal 2006 al 2009 abbiamo tutti noi (14 famiglie) lavorato tutti i fine settimana e tutte le nostre ferie nel cantiere, perchè alla fine quelle case sarebbero diventate le nostre.
Preciso a scanso di equivoci che questo progetto non prevedeva sovvenzioni pubbliche, non abbiamo ricevuto aiuti o regali da nessuno, l'unico impegno dell'Amministrazione comunale, che ci ha venduto l'usufrutto del terreno su cui abbiamo realizzato il cantiere, era di "sovrintendere coordinare e vigilare in tutte le fasi la corretta attuazione del progetto" come si legge dal protocollo d'intesa stipulato con Alisei (ditta individuata dal Comune stesso per assistere noi autocostruttori dal punto di vista tecnico, che doveva gestire il cantiere e fornire le maestranze) e firmato dall'allora Sindaco, ed oggi senatore, Vidmer Mercatali.
Nel 2009, a luglio, la società Alisei non è più reperibile, improvvisamente stacca i telefoni e non risponde più alle nostre richieste e comunicazioni, pochi mesi più tardi dichiarerà fallimento.
Da allora abbiamo cominciato a incontrare Assessori e Sindaco, chiedendo loro di assumersi la responsabilità di portare a termine un progetto che aveva fortemente voluto e che vedeva il Comune come soggetto coinvolto.
Per 3 anni abbiamo aspettato e creduto alle loro parole, poi il 26 giugno scorso, dopo avere ricevuto dalla Banca (Etica) una lettera in cui ci veniva intimato di restituire il credito finanziario messoci a nostra disposizione (1.288.000 €) entro 8 giorni lavorativi, abbiamo smesso di temporeggiare, palesando la nostra situazione di disagio e di completa mancanza di diritti e di tutela legale.
Abbiamo mandato migliaia di lettere (mail), abbiamo scritto articoli, pubblicato foto, interviste, ma nessuno, se non qualche giornale locale, ha dato voce alla nostra protesta.
Vi chiedo di pubblicare i due link che vi allego:
http://matteo-equilibrio1.blogspot.it/2012/09/intervista-telefonica-di-liberaradio-8.html

http://matteo-equilibrio1.blogspot.it/2012/09/i-mille-volti-di-alisei-in-italia.html

il primo è una intervista telefonica di Federico Lacchè di Liberaradio, con foto montate da noi, il secondo spiega quali siano le attività e i "tentacoli" di Alisei in Italia, Alisei è una ONG che gode tutt'oggi di ottima reputazione a livello politico (molto alto!), nonostante una causa presentata dalla Comunità Europea a suo carico con pronuncia del Tribunale dell'Unione Europea che ha condannato, in via definitiva, Alisei alla restituzione di 4.750.000 € e alla sospensione per 2 anni da qualsiasi altro ulteriore finanziamento e nonostante che non più di 8 giorni fa l'Ecuador l'abbia sospesa (insieme ad altre 25 ONG) perchè, nonostante solleciti, non aveva fornito indicazioni utili alla definizione della propria attività e del luogo in cui operava all'interno del paese:
http://matteo-equilibrio1.blogspot.it/2012/09/ecuador-revoca-il-permesso-26-ong.html

Per approfondire la vicenda autocostruzione, leggere gli articoli pubblicati e i documenti ufficiali:
http://difesaconsumatori.eu/
 


Matteo Mattioli

16 settembre 2012

Consumismo spirituale – parte II

Da qualche mese, come avrete notato, l’argomento preminente di questo blog è la spiritualità e lo è per un motivo molto semplice: essendo questo un sito curato da una sola persona, vivente fuori dal freddo mondo cibernetico dei computer e di Internet, dotata di una mente e di un corpo dalle fattezze umane, codesta stessa persona attraversa diversi periodi, nei quali si interessa di diversi temi in diversi modi, gustandosi caramelle dai vari gusti, masticando quelle buone per più tempo e gettando con ribrezzo le più schifose. Capitano caramelle sorprendentemente buone, altre, che in passato non avevano propriamente entusiasmato, diventano improvvisamente succose e altre ancora seguono il percorso inverso, ovvero dal sapore meravigliosamente assuefacente delle prime volte si ritrovano col passare dei giorni e dei mesi a causare una discreta dose di vomito verde-senape.

Così, mi scuso con tutti coloro i quali cerchino famelici informazioni economico-finanziarie-geopolitiche, ma queste caramelle, al momento, sono scadute e mi provocano tanto dolore di stomaco e forti indigestioni risolvibili solo tramite ricorso ad una liquida e prorompente diarrea.

Tutte queste celestiali metafore solo per dirvi che la mia scimmia per l’argomento “spiritualità”  è in ascesa e siccome è di questo che mi va di parlare, è proprio di questo che parlerò, gne gne gne.

Che poi tra l’altro il fulcro del discorso odierno è piuttosto elementare e riassumibile billhicksianamente con “fate ciò che volete, Dio vi ama sempre e comunque”. Ripeto ancora, per l’ennesima volta: quando uso il termine Dio non lo intendo in senso antropomorfizzato come un essere che vive sulle nuvole o dove cazzo lo volete immaginare, quanto piuttosto al concetto di infinito ed eterno vivente che sottende e rende esistente tutto ciò che è, ok? Ok. Non vorrei mica passare per pazzo…

Mesi e mesi, direi anche più di un anno come minimo, tempo ed energie spese dietro ad un’idea (non l’unica, ecco, ma una delle più importanti): fare esperienza diretta di Dio, in un certo senso raggiungerlo, leggendo e tentando varie vie, cercando di capire, di vedere sempre di più e sempre meglio, tentando di superare la mente (perchè se no col cazzo che ci arrivi), tenendo un comportamento positivo perchè quello negativo non va bene, eccetera eccetera eccetera. Per capire cosa? Che non serve a niente. O meglio, serve per arrivare a capire che non serve. Tutto questo nasce da una deficienza di fondo, direi quasi preliminare, ovvero che sia necessario dire/fare/baciare qualcosa e non qualcos’altro, altrimenti si crea una barriera tra te e Dio (!!!) e buonanotte: sei nella pupù.

E’ una presa per il culo. Innanzitutto, fare esperienza diretta di tutto l’infinito, qui, è impossibile: per quanto possa essere espansa la percezione della realtà, essa (la realtà) è per definizione inconoscibile nella sua totalità, dato che questa totalità non ha fine e quindi manco un inizio. Dunque qualsiasi percezione è limitata, ergo in un certo senso illusoria, in quanto non-infinita. Secondo: “noi” e “infinito” sono intrinsecamente sinonimi, dato che tutto è Esistenza, tutto è Essere, tutto è e quindi anche noi siamo. E’ una bella unità nell’eterno stato infinito dell’Essere. Tutto il resto deriva da questo “è”, e lo si può capire anche nel linguaggio di tutti i giorni: quella è un’auto, quell’altro è un tavolo, questo è uno schermo e via dicendo. “E’” rappresenta l’eterno infinito, mentre quello che viene dopo è la specificazione relativa dello stadio assoluto dell’Essere, dell’”è”. L’”è” raffigura la Realtà, i complementi oggetti una sua immagine visibile, relativa.

Se riuscite a capire questo, avete capito praticamente tutto e riuscirete finalmente a rendervi conto che non bisogna fare nulla per “stare con Dio”, per raggiungerlo, in quanto non c’è una distanza, una separazione tra noi e l’essere, un buco da colmare con qualche strumento/atteggiamento particolare. Ma voi come fate a stare qua? E ciò che vedete attorno, come fa a stare qua? E’. Punto.

Noi, e mi includo fortemente anch’io, abbiamo tutti l’idea che Dio debba manifestarcisi in una qualche maniera, diversa per ognuno, e ci perdiamo in questo gioco di immaginazione al punto da sentirci impreparati/indegni/separati dall’Esistenza, dall’è. Prendiamo per buona l’idea fondamentale che Dio si nasconda da noi e che noi, dopo aver contato fino a 666, ci muoviamo per ritrovarlo seguendo svariate linee guida considerate “giuste” ed evitandone altre definite come “sbagliate”. Stronzate. Chiunque si chieda dove sia Dio (l’infinito) o chiunque faccia una qualche cosa perchè così lo potrà sperimentare, ha una mancanza di consapevolezza: ogni pensiero, ogni parola, ogni azione è in Dio, è nell’infinito. Come sarebbe possibile pensare, se no? E parlare? Vedere? Percepire? Come sarebbe possibile il Tutto se manca l’essere, se non ci fosse l’”è”? Quando guardi un rotolo di carta igienica, cosa pensi che sia ciò che lo rende possibile? Sorvola sulla cilindrica e bianca forma fisica che percepisci, in quanto estremamente relativa (un daltonico potrebbe contestarti che quel rotolo non è bianco ma verde: chi ha ragione? Un cane, se fosse parlante tipo Pippo, ti direbbe che è bidimensionale: come puoi dimostrare con la certezza più assoluta dell’assoluto stesso che tu hai ragione e il cane è un pirla?) e vai un pelo più in profondità: brava/o, hai “trovato” l’infinito.

Tutto il resto è esperienza. Sia l’ateo che il Cristiano, che la persona spirituale “fai da te” sono. Questo è l’unico requisito per poter esperire Dio, l’infinito. Dopodichè questo stato basilare dell’essere si può sperimentare in moltissimi modi diversi (infiniti, per la precisione): ci si può convincere che seguendo un certo tipo di comportamento si otterrà un certo tipo di esperienza meravigliosa, oppure che ciò porterà ad una espansione di consapevolezza che ci permetterà di “sentire” meglio le “parole” dell’essenza. E ci si può anche effettivamente riuscire, su questo non c’è il minimo dubbio. Le possibilità sono letteralmente infinite. Ma una persona che abbia raggiunto una certa “vetta” di consapevolezza non è assolutissimamente più vicina a Dio rispetto agli altri. L’espressione “avvicinarsi a Dio” dovrebbe essere intesa solo come un modo per spiegare a parole in maniera comprensibile ciò che sembra essere l’esperienza qui, nel campo del relativo, dell’apparente separazione. Ma poi basta: non deve essere preso in maniera troppo letterale perchè altrimenti si perde di vista la questione e si commette di nuovo quell’errore di fondo (barriera tra noi e Dio) che poi va a sputtanare tutto il resto.

L’esperienza in sè e per sè non avvicina nè allontana di un nano-millimetro noi a Dio, all’essenza: permette semplicemente di percepire questa essenza in diversi (infiniti) modi, “para-normali” inclusi. Non ci si può allontanare dall’essere, altrimenti cosa si diventa, non-essere? Ma anche il non-essere esiste, no? Quindi anche il non-essere… è. Tra noi e l’essenza non c’è la minima distanza, siamo la stessa cosa, altrimenti o non esisteremmo noi o non esisterebbe il resto. Per questo “tutto è uno”: perchè tutto è.

Come si può esprimere a parole… Proviamo, ma non attaccatevi troppo letteralmente alle frasi, altrimenti andrete fuori strada. L’esperienza si muove all’interno di un oceano infinito di possibilità, tutte le quali rese possibili da una sorta di forza permanente senza inizio nè fine. Questa forza è indistinguibile, onnipresente in un eterno e costante attimo e sottende letteralmente tutto ciò che è, permettendo alle esperienze di manifestarsi e di poterle vivere. Tutto è questa energia, questa intelligenza. Ciò che vediamo, sentiamo e tocchiamo è una manifestazione di queste onde, che vengono interpretate da altre onde (il cervello). State guardando una porta, ok? Quello che accade è che delle onde di energia hanno una certa frequenza (porta): queste onde vengono “interpretate” da altre onde (cervello), e questa interazione genera la fortissima sensazione di avere una persona con lo sguardo rivolto verso una cosiddetta porta, di un certo materiale, di un certo colore e di una certa densità. Ma è un gioco di frequenze, non molto dissimile dal comportamento di una radio.

E le onde? Questo oceano energetico nel quale siamo immersi? E’ anch’esso una manifestazione, resa possibile dall’essere. La gabola è che ci impantaniamo con la materia convincendosi che sia La realtà, mentre è solo una rappresentazione frutto di una sorta di auto-interazione dell’esistenza stessa. Per questo non c’è un “là fuori” diverso dal “qui dentro”: se tu starnutisci, in un certo senso l’intera esistenza starnutisce con te.

Chi raggiunge la cosiddetta “illuminazione” non sta sperimentando Dio in maniera superiore rispetto agli altri. Non è l’intensità/vicinanza che aumenta, bensì è solo un modo diverso di esperire ciò che è. Un modo migliore? Sì, può essere. Secondo me lo è, ma non mi attacco ossessivamente a questo giudizio, non più almeno, perchè porta aspettative e una frustrazione dovuta al fatto di non sentire ciò che arbitrariamente pensiamo sia necessario sentire. In pratica, siamo noi a immaginare un tipo di esperienza chiamata “illuminazione”, così dal nulla in maniera totalmente arbitraria, e poi ci incazziamo perchè questa immagine dell’esperienza, inventata di sana pianta, non si verifica. Arrivi a capire che non c’è nulla da “illuminare”, perchè già è tutto illuminato. Cerchi, cerchi e cerchi per arrivare a capire che non c’è nulla da cercare, poichè così si intenderebbe una separazione tra ciò che è e ciò che non è, separazione ovviamente inesistente.

Qualsiasi persona/istituzione/essere vivente/vampiro/klingon vi dica con la massima convinzione che voi, con i vostri comportamenti o pensieri o parole, siete inadeguati per Dio, vi sta dicendo un mucchio di balle: se così realmente fosse, quegli stessi comportamenti o pensieri o parole non esisterebbero nemmeno e il problema non si porrebbe. Ci sono dei modi che permettono di modificare la percezione dell’esistenza, di incrementarla anche, ma non è che seguendo quei metodi allora siete più degni di “incontrare” Dio: è solo la percezione, che è relativa, a cambiare, non voi nè tantomeno l’essere (sinonimi, ricordate). E’ effettivamente vero che una mente silenziosa facilita la comprensione della realtà, ma una mente rumorosa non è meno utile e di sicuro non è “sbagliata”.

Sia che siamo in pace, sia che siamo nervosi, insicuri, frustrati, depressi, infuriati col mondo, noi siamo. Una persona imperiosamente furibonda non si sta “allontanando” dall’essenza, non è “indegna”, non sta “sbagliando”: in quel momento è rabbiosa.  L’unica cosa saggia da fare è vivere queste esperienze, semplicemente, senza appiccicarsi troppo ai giudizi che, il 99% delle volte, sono pesantemente condizionati e frutto dell’ambiente esterno. Se provate a risalire al motivo per cui giudicate una qualche cosa “giusta” o “brutta” o chissà, dovrete scorrere indietro nel tempo fino magari ad arrivare al punto di dire “non lo so” perchè eravate troppo piccoli per ricordare l’evento-zero.

“Ma noi ci appiccichiamo ai giudizi”. E allora appiccichiamoci! Viviamo semplicemente l’esperienza dell’appiccicarsi ai giudizi. Non è un errore, non ci allontana dall’essenza. Può al massimo allontanarci da un tipo di percezione più profonda dell’essere, ma non dall’essere stesso: dalla nostra percezione di esso. Ma la percezione fa parte dell’esperienza, è anch’essa resa possibile soltanto perchè c’è l’Essere, ciò che tutto è. La percezione non è Reale: è limitata, per quanto grande e profonda possa essere, ha un inizio e una fine. Tutto ciò che è limitato, che comincia e quindi poi finisce, altro non è che una rappresentazione dell’essere, il quale la sottende e rende possibile.

Tutto qua. Spero che il discorso sia abbastanza chiaro. Ce l’ho messa tutta per trovare le parole che più possono avvicinarsi a ciò che è, ma come ho già detto un paio di volte nel testo, non attaccatevi troppo alle parole e non rimuginateci sopra eccessivamente, altrimenti correte il rischio di fraintendere, quando di non capire, la faccenda. Il che, comunque, non è sbagliato…

03 settembre 2012

Come eliminare l’ego

Beh, in realtà non si elimina nulla: come si potrebbe eliminare qualcosa che non esiste? Più che di eliminazione, forse sarebbe più giusto dire “presa di coscienza”. Di cosa? Del fatto che l’ego non esiste.

Vi avevo già parlato, nel post relativo alla mia ultima esperienza di “illuminazione temporanea”, di Ramana Maharshi e della self-enquiry, ovvero una sorta di auto-indagine interiore volta alla conoscenza del nostro vero Sè. Ebbene è un metodo straordinariamente semplice ed altrettanto efficace per acquisire la consapevolezza necessaria per rispondere alla fatidica domanda esistenziale per eccellenza: chi sono io?

Riporto qui la spiegazione di Ramana relativa al metodo, tratta da Ramana-Maharshi.it:
1 . Chi sono Io ?
Io non sono il corpo materiale, che è composto dai sette umori (dhatus); Io non sono i cinque organi di senso, ossia il senso dell'ascolto, del gusto, dell'olfatto, del tatto e della vista, che comprendono i loro relativi oggetti, il suono, il sapore, l'odore, il tatto ed il vedere; Io non sono i cinque organi conoscitivi, ossia gli organi del parlare, del movimento, del tocco, di escrezione e di procreazione, che hanno come loro rispettive funzioni il parlare, il muoversi, il toccare, il secernere ed il godere; Io non sono i cinque soffi vitali, prana ecc., che comprendono le cinque rispettive funzioni dell'inspirare ecc.; Io non sono neanche la mente che pensa; così come non sono il ricordo, che riguarda solo le impressioni residue degli oggetti e nel quale non vi sono né oggetti né funzioni.

2 . Se io non sono nessuno di questi, chi sono?
Dopo aver negato tutte queste cose come "né questo", "né quello", rimane solo la Consapevolezza - quella io sono.
[…]
8 . Qual è la natura della mente?
Ciò che è chiamato "mente" è un meraviglioso potere che risiede nel Sé. Essa provoca l'apparire di tutti i pensieri. Eliminati i pensieri scompare anche la mente. Quindi il pensiero è la natura della mente. Eliminati i pensieri non c'è un'entità separata chiamata mondo. Nel sonno profondo non ci sono pensieri, e non c'è mondo. Nello stato di sogno ci sono pensieri e c'è anche un mondo. Proprio come un ragno emette il filo (della ragnatela) fuori di sé e poi lo ritira in sé, così la mente proietta il mondo fuori di sé e poi lo riporta in sé. Quando la mente esce dal Sé il mondo appare. Quindi, finché il mondo appare (essere reale), il Sé non appare, e quando il Sé appare (rifulge), il mondo scompare.
Quando una persona si interroga costantemente sulla natura della mente, la mente se ne va, lasciando il Sé. Ciò che viene chiamato "Sé" è l'Atman.
La mente esiste sempre solamente in quanto legata a qualcosa di materiale. Non può esistere da sola. Questa mente viene chiamata "corpo sottile", o anima (jiva).

9 . Qual è la strada da seguire per comprendere la natura della mente?
Ciò che appare quale "io" in questo corpo è la mente. Se qualcuno si chiedesse dove, nel corpo, risieda il senso dell' "io", scoprirebbe che esso risiede nel cuore. Questo è il posto nel quale ha origine la mente. Anche se uno pensa costantemente "io", "io", egli viene condotto in quel posto. Di tutti i pensieri che appaiono nella mente, quello dell'"io" è il primo. E' solo successivamente a questo pensiero che tutti gli altri si manifestano.
10 . Come si può placare la mente?
Chiedendosi: "Chi sono io?". Il chiedersi "Chi sono io" distrugge tutti gli altri pensieri, e come il bastoncino usato per accendere la pira, esso stesso alla fine scomparirà. In quel momento si avrà l'Autorealizzazione.

11 . Cosa significa concentrarsi costantemente sul pensiero "Chi sono io?"
Quando appaiono gli altri pensieri, non bisognerebbe dargli attenzione, ma chiedersi: "A chi appaiono?". La risposta che emergerà sarà: "a me". Conseguentemente se ci si chiede "Chi sono io?", la mente risale alla sua sorgente; ed il pensiero che era sorto diverrà quiescente. Con questo esercizio la mente svilupperà la capacità di rimanere in se stessa. Quando la mente, che è sottile, si proietta tramite il cervello e gli organi di senso, appaiono i nomi e le forme materiali; quando invece rimane nel cuore, nomi e forme scompaiono. Non proiettandola, ma ritenendola nel Cuore si ha ciò che viene chiamata "consapevolezza interiore" (antar-mukha). Proiettando la mente fuori dal Cuore si ha invece ciò che vien detta "consapevolezza esteriore" (bahir-mukha). In tal modo, quando la mente sta nel Cuore, l'"io", che è l'origine di tutti i pensieri, scompare ed il Sé, eterno, si manifesta. Qualunque azione si compia, bisognerebbe farla senza il senso dell'"io". Se si agisce in questo modo tutto apparirà come la natura di Shiva (Dio).
Capito? In pratica, non appena ci si accorge di stare pensando, ci si chiede chi è che sta pensando, da dove viene il pensiero. La risposta più ovvia è “da me” (va bene anche dire “a chi appaiono”, ma io mi trovo meglio analizzando “da chi arrivano”). La domanda successiva, naturalmente, è “da me chi? Chi è questo io?”. A questo punto si ascolta il cuore e si osserva fin dove si arriva, in modo da trovare man mano la risposta a “Chi/cosa sono io?”. Non sono il corpo, non sono gli organi nè le loro funzioni, non sono i pensieri, non sono i miei gusti (“miei” di chi?) eccetera, eliminando di volta in volta le varie identificazioni che la mente tenta di portare come “prova” dell’esistenza individuale.

Ovviamente è una pratica da ripetere più e più volte, ogni volta che volete. Non escludo che si possa abbattere questa illusione chiamata “ego” già al primo colpo ma, visto che è un costrutto che ci portiamo dietro da quando siamo piccoli e con il quale ci siamo identificati e ci identifichiamo ogni singolo secondo di ogni singolo giorno, è piuttosto improbabile (ma non impossibile). In ogni caso è meglio sottolineare che è sì utile tenere a mente la domanda “chi sono io?” ma non è necessario continuare a ripetersela dentro ogni due secondi: la mente si annoia dopo poco e proseguire diventa un bel problema. Più che ripeterla mentalmente è utile averne consapevolezza, avere la volontà incrollabile di darle una risposta e di “ascoltare” con il cuore.

La natura della mente è di trovare un qualcosa per poter rispondere: per lei è inconcepibile che esista qualche cosa di indefinito e di indistinto, e questo è un altro motivo per cui difficilmente tutto si risolverà al primo tentativo. Infatti cercherà in tutti i modi di individuare un qualche concetto tramite il quale definirsi e definirci e, una volta dimostrata l’impalpabilità del concetto stesso, ne troverà un altro più “profondo”, e poi un altro e un altro ancora, fino a che sarà “costretta” ad arrendersi all’evidenza: non c’è un “io” distinto da tutto il resto, letteralmente. Che è ciò che ho provato nella mia ultima esperienza “mistica”, il cui effetto si è protratto per una settimana, così come era accaduto per quella precedente in maggio. Dopodichè la mente ha ricominciato a ciarlare, ad analizzare ciò che provavo e tutto è (quasi) sparito.

Averle sapute prima ‘ste cose… Ma non c’è problema: inizialmente avevo paura di perdere quelle meravigliose sensazioni e di non ritrovarle più, ma poi è ri-accaduto e questo mi dà una bella consolazione e sicurezza. E stavolta ho qualche “arma” in più per rimanere in quello straordinario stato…