10 dicembre 2014

Reincarnazione reiterata e multiversi: ci sta?

Parto dall’ultimo post su Nietzsche e la reincarnazione per esprimere un paio di considerazioni in merito. Oggi “giochiamo” un po’ con delle idee strane, dai. Vediamo cosa ne esce.

L’ipotesi di Nietzsche (ma non poteva chiamarsi come si legge: “Nice”?!) sull’eterno ritorno è estrema e affascinante come poche. In pratica, per chi non avesse letto l’articolo precedente o comunque non avesse idea di che si tratti, secondo il buon Federico ognuno di noi è destinato a ripetere all’infinito le stesse azioni, gli stessi pensieri, le stesse parole, gli istanti della vita attuale in ogni futura reincarnazione. Non solo: l’intera vita che sta vivendo qui, dalla nascita alla morte, è esattamente identica a tutte quelle che ha vissuto in precedenza. L’individuo si ritroverebbe, quindi, in un ciclo infinito di esperienze nascita-morte uguali spiccicate l’una con l’altra. Io, Pinco Pallino, nato il 30/02/1987, figlio di Tizio Pallino e Tizia Caio, residente a Cessetto Di Sopra eccetera eccetera. E così all’infinito, con tutte le gioie e le frustrazioni ripetute sempre alla medesima maniera, uguali, identiche, immutabili, pari pari.

Come veniva fatto notare nell’articolo, al di là delle reazioni di noia, paranoia o depressione che una prospettiva del genere può facilmente provocare in persone poco avvezze ad argomenti non prettamente consumistici, un grande significato conseguente a questa teoria è l’esistenza di un solo e unico momento: quello presente, il famigerato “qui e ora” sbandierato a destra e a manca fin troppo diffusamente per preservarne il vero senso. Il tempo così come lo intendiamo noi non avrebbe ragione di esistere: se ogni istante è già accaduto infinite altre volte e accadrà altrettante infinite volte, si può davvero parlare di “passato” e “futuro”? Concettualmente, per poter “funzionare” bene, il tempo ha bisogno dei cambiamenti, di modifiche, di movimento: prima mi sentivo in un certo modo, ora in un altro e domani chissà. Ma se questi tre momenti diversi li ho già vissuti perfettamente identici altre infinite volte e li vivrò altre infinite volte… dov’è il cambiamento? Dov’è il movimento? Dov’è il tempo? Ergo: esiste solo il presente.

Altri pensatori la vedevano in maniera leggermente diversa, per cui ogni reincarnazione non sarebbe stata la copia perfetta della precedente ma avrebbe, invece, presentato delle piccole differenze così da permettere una sorta di “cammino evolutivo” personale. Per quel che conta, io mi rispecchio di più in questa versione “alleggerita”: non ci si ritrova imprigionati in un ciclo infinito senza possibilità di scelta e, concettualmente, ripropone a livello metafisico ciò che è possibile osservare virtualmente in ogni dove nella natura: l’evoluzione, la crescita, il movimento della vita. In definitiva, la vita stessa. Si rinasce sempre Pinco Pallino ma in questo caso per un numero finito di volte: quando arriva quella buona, ovvero quando si sono “imparate tutte le lezioni necessarie” (equivalente del famoso “giudizio” cristiano), si cambia e si rinascerà chissà dove, quando e chi.

Così intesa, però, viene a mancare l’esistenza esclusiva del “qui e ora” e il tempo, subdolo e infingardo, riprende il suo ruolo centrale di metronomo. Ma forse no.

Facciamo un ragionamento, esplicitiamo un attimo meglio la questione, giochiamo un po’ dai. Io, Pinco, nasco qui il giorno tal dei tali, vivo la mia vita e inesorabilmente tiro le cuoia dopo tot anni. Facciamo che voi siete vivi, invece. Ma non abituatevici troppo… Abbiamo così due punti di vista dai quali vedere la faccenda: io che crepo e voi che ne testimoniate.

1) Io che crepo: dal mio punto di vista, l’universo e le sue dimensioni spazio-temporali si dissolvono insieme a me e io vengo catapultato o indietro fino al giorno della (ri)nascita come Pinco o, se sono riuscito a comprendere meglio un paio di cosine interessanti, in qualche altro luogo in chissà quale tempo, in una esperienza per me completamente nuova.

2) Voi che ne testimoniate: per come la vedreste voi, il mio corpo sarebbe lì steso immobile, svuotato della mia presenza, e la vostra esperienza continuerebbe tranquillamente.

E qui entra in gioco il tempo, le linee temporali e gli universi paralleli, robetta utile per provare a capire un po’ di più di cosa si sta parlando. Assumendo che io, morendo, tornassi in qualche modo indietro nel tempo fino al giorno della mia (ri)nascita, avrei una situazione di conflitto con il “me originale”, quello che effettivamente è nato qui e ha vissuto fino all’attimo della morte. Classico paradosso temporale. Quello che accade, invece, è il “trasferimento” verso un’altra linea temporale “parallela” a quella attuale. Dunque c’è un “salto” al giorno tal dei tali dell’universo parallelo più “vicino” al nostro in termini di esperienze e di avvenimenti. Rinasco come Pinco, nello stesso luogo, nello stesso istante, la stessa famiglia eccetera e rivivo un’esistenza molto simile alla precedente, con delle piccole variazioni dettate tendenzialmente dal mio modo di “prendere” e reagire agli avvenimenti. La mia vita attuale diventa in pratica il punto di partenza della prossima, la quale sarà la base della successiva e così via.

Si capisce che in questo modo il tempo per come lo intendiamo viene cancellato in toto? Infiniti universi, infinite linee temporali. Ogni momento esiste sempre, all’infinito. Io sto nascendo (e morendo) proprio… ora. E ora. E ora. E ora. E ora. Però c’è anche il movimento: a un certo punto sarò giudicato “positivamente” e dunque per me non sarà più necessario rinascere come Pinco. Quindi un tempo esiste, ma non è quello che intendiamo noi. Trascendente il tempo “normale”, potremmo chiamarlo “tempo animico”, relativo all’anima, che porta con sè la memoria delle esperienze vissute in “passato”, senza risentire di morti fisiche e “salti” tra universi. Mettendola in termini informatici, che fa tanto figo, la mente e il corpo che ci ritroviamo in ogni incarnazione sono l’equivalente naturale della memoria RAM: ogni volta che spegniamo il computer, la RAM viene svuotata, resettata e i dati presenti vengono cancellati. L’anima è il disco rigido: non importa quante volte si spegne il computer perchè i dati memorizzati lì saranno presenti anche al prossimo riavvio e a quello dopo, e a quello dopo ancora e via di questo passo.

E’ tutto figurato, eh, sono tutte immagini fittizie per convogliare qualcosa di più profondo. Se poi funzioni effettivamente così non ne ho idea e non è nemmeno l’aspetto più importante. Lo scopo, come sempre, è riuscire a smuovervi qualcosa dentro e provare a farvi giungere a un piccolo shock interiore, un blackout estatico che faccia emergere un sottile e profondo entusiasmo. E’ quella stessa sensazione che ho provato io dopo aver letto l’articolo su Nietzsche e che mi ha spinto a riportarlo qui sul blog e a scrivere queste considerazioni.

Non dovete aspettarvi dagli altri la verità. Come fate a dire che un’informazione è vera? Perchè viene da una fonte piuttosto che da un’altra? Come fate a essere certi, ad esempio, che oggi a Karachi è esplosa un’autobomba? Piccolo consiglio: non siate passivi. Io non lo so se l’intuizione di Nietzsche e/o la versione “light” siano vere, ma nel leggerle hanno generato un attrito, si è creata una visione alternativa che prima non c’era e il contatto (dualismo) tra questa e la mia visione, preesistente, ha fatto partire un processo di ragionamento avente come risultato una nuova sintesi. Dal dualismo (tesi-antitesi) emerge una terza forza (sintesi), frutto del “lavoro” attivo personale svolto per elaborare i due blocchi di informazioni, armonizzarli e unirli. Congiungere gli opposti.

Comunque sia, torniamo a noi. Scendendo un po’ dalle stelle del multiverso, la teoria della “reincarnazione reiterata”, diciamo così, è la spiegazione migliore che ho trovato finora per un fenomeno che trovo straordinariamente affascinante nel suo mistero: il deja-vu. Per essere precisi, il “deja-vecu” (un tipo di deja-vu) ovvero la netta sensazione di avere già vissuto il momento e la circostanza che si sta palesando ora nella nostra realtà più strettamente circostante. Penso sia capitato anche a voi almeno una volta nella vita. A me succede ogni 3 settimane in media, a occhio e croce. Sono lì tranquillo, vivo la mia vita normalmente e poi, all’improvviso, sorge la nettissima sensazione di avere già “vissuto” quella determinata circostanza: “rivedo” esattamente lo stesso scenario che mi circonda, “ri-sento” esattamente gli stessi suoni, “ri-provo” esattamente le stesse emozioni. E’ tutto incredibilmente identico e dura, boh, 5-6 secondi, dopodichè la “finestra” si chiude a la magia finisce.

Ho provato a cercare “deja-vecu” su Google e il primo risultato è l’autorevole Treccani.it, che riporta la definizione del fenomeno. Eccola:

déjà-vécu   Sensazione di aver già vissuto una particolare situazione (dal franc. «già vissuto»). Classificato come un disturbo qualitativo della memoria, la sensazione di aver già vissuto un evento costituisce più frequentemente un disturbo dell’affettività associata alla memoria e si realizza nello sperimentare come familiare una condizione mai vissuta in precedenza. Come stato dissociativo, può essere presente tanto in malattie neurologiche, quanto in patologie psichiatriche come psicosi acute o croniche, disturbi dissociativi o gravi disturbi d’ansia. “

Ora, è vero che la mia memoria non rappresenta esattamente l’anello di collegamento con il prossimo passo dell’evoluzione umana, ma un paio di cosette riesco a ricordarle anch’io e so riconoscere la differenza tra un ricordo “normale”, che risiede nella memoria, e uno che non è nemmeno un vero ricordo ma ha un’intensità pazzesca. Non è nemmeno un vero ricordo perchè non ho la minima consapevolezza di cosa stia per accadere fin quando non accade. Non ricordo quella determinata circostanza fino all’attimo esatto nella quale si verifica. E comunque sia, un ricordo, per quanto bello o intenso, non riesce neanche lontanamente a raggiungere una veemenza così energica come quella del deja-vecu. Chiamarlo “disturbo qualitativo della memoria” mi sembra abbastanza denigratorio ed erroneo o, detto con un termine tecnico: una cagata. In salsa medico-scientifica, ma una cagata.

E, già che ci siamo, vorrei sapere anche quale razza di bislacco disturbo mentale sia riuscito a convincermi, appena mi svegliai un giorno di qualche anno fa, oltre ogni possibile dubbio che quella stessa mattina in università avrei fatto amicizia con qualcuno, cosa che puntualmente accadde un paio d’ore dopo.

Chiaramente, l’ipotesi della “reincarnazione reiterata” spiegherebbe perfettamente la faccenda: avendo già vissuto un numero imprecisato di volte quei momenti, ed essendo essi “memorizzati permanentemente nell’anima”, è solo una questione di attimi di “apertura sensoriale”, diciamo, che ci permettono di dare una sbirciatina temporanea su quello che ha da venì. Non fa una grinza. Magari non è la spiegazione reale, ma non fa una grinza.

Un altro aspetto affascinante ma che diamo puntualmente per scontato perchè “tanto è già stato tutto spiegato dagli scienziatoni dell’università di Thisdick” è quello relativo alle propensioni naturali, quei talenti innati, quelle cose che ci vengono più facili praticamente da quando nasciamo. Io, per esempio, ho scoperto di essere naturalmente portato per la lingua inglese: già da quando iniziai a studiarla in terza elementare (credo fosse la terza… Comunque giù di lì…) non la trovai particolarmente complicata e mi accorsi, nel tempo, che non ebbi mai troppo bisogno di sbatterci violentemente la testa a nastro per capirne le regole grammaticali e di sintassi. Ovviamente ero sempre il migliore della classe tanto che spesso, quando c’erano le verifiche, i professori mi mettevano a farle alla cattedra per evitare che suggerissi le risposte a mezzo mondo.

Alle superiori c’erano un altro paio di miei compagni piuttosto bravi ma qui stava la differenza: io quasi non aprivo neanche il libro e, giuro su Dio, non ho mai preso un voto più basso di 8 (una volta in seconda superiore, non per tirarmela, ma è andata proprio così, presi 8 e mezzo su un massimo di 8 da tanto feci bene la verifica); loro studiavano, studiavano e studiavano ed effettivamente erano bravi, ma a fine anno si beccavano sempre una valutazione più bassa della mia. Mentre per loro era necessaria una “forzatura” per riuscire a imparare la lingua di Albione, a me veniva quasi spontanea, naturale. Ero, al contrario, una discreta chiavica in geometria. In matematica andavo piuttosto bene, ma dovevo studiare parecchio: alle medie avevo un compagno che invece era un genio e il libro lo usava come fermacarte.

Come mai? Da dove vengono queste propensioni? Perchè nasciamo già predisposti verso determinate attività? Anche qui: “reincarnazione reiterata” ma nella versione “alleggerita”, non quella di Nietzsche perchè non ammette un qualsivoglia cambiamento, per cui a rigore noi verremmo creati direttamente con determinate caratteristiche statiche e ce le porteremmo dietro immutate per l’eternità. Rimarrebbe sempre la domanda: da dove vengono e per qual motivo? Con la versione alleggerita, invece, a ogni incarnazione si vivono quasi le stesse esperienze e oh, vivile una volta, vivile due, tre, quattro, cinquanta, millemila volte: alla fine qualcosa ti rimane, no? Evidentemente, per tornare al mio esempio, il mio compagno delle medie sarà arrivato a un punto nel quale si è innamorato della matematica e da lì in avanti ha ogni volta approfondito la materia; analogamente, io ho già avuto tante altre occasioni per entrare in contatto in qualche modo con il mondo anglo-sassone e il suo idioma (tra l’altro l’occasione ce l’ho anche oggi e non perchè l’inglese è diffusissimo ovunque, ma per questioni personali).

Lo ripeto per l’ennesima volta: non lo so se le cose stiano davvero così, non mi importa e non dovrebbe importare nemmeno a voi. Chi se ne frega! Qui si sta cercando di fare un esercizio, un “lavoro” di ragionamento dettato dalla continua collisione tra il vostro punto di vista e un altro. Punto. Dualismo in azione, polarità opposte che generano una carica potenzialmente liberatoria. Poi i giudici siete voi e solo voi, non fidatevi delle presunte verità altrui e non subitele passivamente: elaboratele, usate la vostra intelligenza perchè guardate che la utilizziamo effettivamente molto, ma molto meno di quanto crediamo. E’ molto più facile barricarsi dietro la propria presunta superiorità intellettuale e fare gli snob pieni di compatimento e pena verso tutto ciò che esula dal piccolo castello di sabbia che si è così faticosamente costruiti nel corso di anni e anni di comoda assimilazione della stessa minestra tiepida.

La meraviglia è che abbiamo la possibilità di prendere anche la più grande vaccata nella storia dei multiversi e “farla nostra”, ovvero: prenderla, elaborarla con tutto noi stessi (e non solo con la mente o con il cuore o con il culo) ed estrapolare chirurgicamente quell’aspetto di verità che si palesa sotto innumerevoli forme in ogni dove. In quel momento abbiamo creato un’informazione fino ad allora completamente assente, la quale diverrà una nostra verità. Tesi-antitesi-sintesi.

Si capisce che l’idea di “vero” e “falso” cambia? Non è più inerente al mero contenuto dell’informazione, ma al modo con il quale “lavoriamo” l’informazione grezza stessa. Il famoso motto del vecchio Fox Mulder in X-Files, “la verità è là fuori”, mmm… Non solo, direi.

02 dicembre 2014

Nietzsche e la ricorrenza

Riporto un articolo che ritengo estremamente interessante, uno dei pochi tra quelli che leggo in giro. Buona lettura!

(tratto da Anticorpi.info)

L'Eterno Ritorno (Nietzsche e la Ricorrenza)

Sei Già Stato Qui?
di G. Lachman

Traduzione di Anticorpi.info

La credenza nella reincarnazione è uno dei più antichi concetti umani, talmente vecchi e persistenti che lo psicologo Carl Jung la definì: archetipo. "Rinascita", scrisse Jung, "è un'affermazione primordiale dell'umanità; tali affermazioni sono basate su ciò che definisco: archetipi." Questo significava che a prescindere dalla sua veridicità o falsità il concetto delle vite precedenti e future sarebbe in qualche modo radicato nella psiche umana.  eterno ritorno

Siamo, per dirla in linguaggio informatico, programmati per pensare, e sebbene non tutti accettino l'idea, a quanto pare condivideremmo una serie di concetti fondamentali circa il significato della morte e della vita ultra-terrena.

L'insieme di tali concetti sembra essere sorprendentemente esiguo. C'è la possibilità di reincarnazione o rinascita, come detto, con la convinzione che dopo avere lavorato per pagare il personale debito karmico si riesca ad uscire dalla ruota della vita. C'è anche il concetto secondo cui dopo la morte si prosegua a vivere in qualche 'altro' regno, il cielo del Cristianesimo, il paradiso dell'Islam, il Valhalla del mito norreno, i Campi Elisi dell'antica Grecia. Bisogna sottolineare che non tutti questi aldilà sono dipinti come desiderabili: fuoco e zolfo attendono i malvagi nell'inferno del cristianesimo, ed i Greci, forse storicamente i più grandi cultori della vita terrena, avevano l'idea di un'orribile eternità nel regno delle ombre. In ogni caso ognuno di questi scenari che contemplano un altrove dopo la morte ipotizza una sola esistenza terrena. Una volta vissuta, a seconda di come ci siamo comportati saremmo destinati ad ottenere la nostra ricompensa o punizione.

Secondo l'ottica dei pagani, dopo la morte la materia che compone i nostri corpi torna a fondersi alla natura insieme con lo spirito o anima. Possiamo poi eventualmente godere di una sorta di aldilà sotto forma di fiori, alberi, o erba.

Esiste anche la convinzione che la morte sia la fine. La coscienza non esiste; le nostre credenze, le idee, i sentimenti, i valori - tutto ciò che abbia avuto importanza per noi - sono annientate quando il nostro cervello smette di funzionare. In questa visione, tutto ciò che c'è è la nostra vita presente, e dopo di essa vi sarebbe il nulla. Molti associano questo punto di vista alla scienza moderna, ma le sue radici sono in realtà molto antiche. Il filosofo greco Democrito asseriva che ogni cosa sia fatta di piccoli pezzi di materia ai quali diede il nome di atomi (cioè: indivisibili). Secondo Democrito, dopo la morte tutto cessava a causa della dispersione degli atomi del corpo.

Il mio approccio al riguardo si colloca nel campo dell'agnosticismo. Semplicemente non ne ho idea. Il che non significa che non riconosca l'importanza di avere una qualche idea in proposito. Sul perché si muoia tendo a vederla come il drammaturgo George Bernard Shaw nell'opera Back to Methuselah, in cui sostiene che gli esseri umani non muoiano di malattia o vecchiaia, ma di scoraggiamento, della perdita degli intenti e della volontà di vivere. Decenni più tardi, nel libro Man's Search for Meaning lo psicologo Victor Frankl confermò questa intuizione nella cornice raccapricciante di un campo di concentramento nazista, quando osservò la maggiore resistenza dei prigionieri motivati dalla speranza di qualcosa da realizzare in caso di sopravvivenza, rispetto a coloro che avevano perso ogni speranza, spesso i primi a perire.

Shaw sosteneva che la nostra attuale vita sia troppo breve, perché è solo verso la fine di una lunga vita che alcune persone cominciano ad avere un assaggio del suo valore. Morire a ottant'anni, proprio quando si incomincia a comprendere qualcosa di tutta la vicenda, sembra inutile. Shaw immaginava la possibilità che alcune persone imparino a vivere più a lungo, così a lungo da raggiungere, salvo incidenti, i trecento anni d'età.

Vorrei sottolineare che i longevi di Shaw - definiti Antichi - guadagnano la loro longevità non attraverso mezzi tecnologici o chimici, né seguendo un rigoroso regime di vita salutistico, per quanto Shaw stesso - che visse fino a 94 anni - fosse vegetariano. Gli Antichi di Shaw raggiungono la longevità attraverso la pura voglia di vivere e la loro disponibilità a soddisfare le finalità che Shaw definiva: 'la forza della vita', una sorta di spinta evolutiva che costringe la vita a trascendere se stessa. Nel suo precedente lavoro: Man and Superman Shaw enuncia in termini sia drammatici che comici la filosofia della 'forza vitale', e per qualche tempo dopo aver letto Back to Methuselah restai affascinato dalle biografie di scrittori, artisti e pensatori morti in età estremamente avanzata. C'era Shaw stesso. C'era il romanziere John Cowper Powys, che morì a 91 anni, il critico e filosofo Owen Barfield, morto a 99 anni, lo scrittore tedesco Ernst Jünger morto a 101 anni, e molti altri, tra cui il compositore Jean Sibelius e il filosofo Bertrand Russell, che superarono i 90.

Nel suo romanzo di fantascienza La Pietra Filosofale, Colin Wilson - epigono di Shaw - suggerì che ci fosse una qualche connessione tra la ricerca di idee e la longevità. La sua intuizione fu che un interesse oggettivo verso discipline come la matematica, la filosofia e, in modo simile, la bellezza impersonale riscontrabile - ad esempio - nelle sinfonie di Sibelius, con il loro profondo sentimento per la natura - si ponga in linea con i disegni della forza della vita, la quale ci indurrebbe a trascendere i nostri scopi soggettivi, troppo limitati. Chiunque sia in grado di percepire la bellezza oggettiva e il fascino infinito della realtà che ci circonda - asseriva - non si annoia mai e quindi ha tutte le ragioni per continuare a vivere.

Ad ogni modo, quando parlo di questi concetti con amici o conoscenti la risposta standard è qualcosa sulla falsariga di "300 anni? Dio, chi vorrebbe vivere così a lungo?" Tutto ciò è interessante, perché ottengo risposte simili anche quando parlo di un altro concetto che ha sempre suscitato uno strano fascino su di me.
Sappiamo che nella sua accezione comune la reincarnazione consista nel ritornare sulla Terra sotto forma di una persona diversa in un tempo diverso (anche se in qualche modo con la stessa anima o spirito). Da giovane, quando mi interessai agli scritti del filosofo Nietzsche, rimasi affascinato da una diversa nozione di reincarnazione, quella dell'Eterno Ritorno. Questa idea suggerisce che avremmo - usando la definizione coniata da Rudolf Steiner - "vite terrene ripetute", dunque invece che vite diverse, vivremmo sempre la stessa vita, più e più volte. In altre parole: mi sono seduto davanti al computer per scrivere questo saggio un numero infinito di volte in passato e l'ho anche letto un numero infinito di volte, e continuerò a farlo all'infinito. Nascerò ancora una volta dai miei genitori, subirò gli stessi traumi e delizie infantili, avrò le stesse esperienze, gli stessi fallimenti e successi, la stessa morte - e poi la ruota tornerà a girare dal principio, e tutto ricomincerà.

La maggior parte di noi tende a respingere l'idea, trasalendo per la prospettiva di noia eterna che una tale nozione offre. L'idea di tornare di nuovo sulla terra come una persona diversa sembra molto più attraente, e perfino la prospettiva di un completo annientamento potrebbe sembrare preferibile al fare lo stesso giro in eterno. Lo capisco perfettamente e non ho intenzione di sostenere che l'eterno ritorno sia più veritiero o preferibile alla reincarnazione o ad altre possibilità ipotizzate sul dopo-morte. Tuttavia devo ammettere che tornare ai miei libri, amici, figli, gioie, dolori mi sembri più attraente rispetto all'eternità di contentezza beata trascorsa in mezzo a putti e nuvole contemplata da alcune raffigurazioni dell'aldilà.

Uno dei motivi (non il più importante) per cui ho continuato a coltivare questa idea dell'eterno ritorno è dovuto alle reazioni che suscita negli altri. Diversi anni fa lavorai presso una libreria metafisica a Los Angeles. Tra le mode dell'epoca - i cristalli, la dea, la programmazione neuro-linguistica - una delle più popolari era l'idea di esplorare le proprie vite passate. Restai sorpreso nello scoprire che le tante persone interessate al tema percepivano di aver vissuto esistenze passate infinitamente più interessanti della loro vita presente. Nessuno percepiva che la sua vita precedente fosse stata una noia. C'era anche un buon numero di persone che nelle loro vite passate sebbene non proprio famose erano state in qualche modo importanti; sacerdotesse in Egitto, maghi in Atlantide, re e regine. Non molti sarti e macellai. Purtroppo, qualunque sia la verità sulla reincarnazione, gran parte delle persone che se ne interessano sembrano considerarla più come un modo di rendersi più interessanti in questa vita. Così, quando confidavo loro di sentirmi attratto dall'idea che ci sia solo questa vita da vivere un numero incalcolabile di volte, ricevevo in cambio sguardi straniti, come fossi pazzo. Nonostante le reazioni incredule che provoca - o forse a causa di esse - la filosofia della ricorrenza di Nietzsche merita considerazione.

Lungi da qualsiasi idea machiavellica, Nietzsche era turbato dal problema della sofferenza umana, considerata questione centrale da cui erano emerse le grandi religioni. Attraverso  il suo accostamento ai nazisti Nietzsche ha acquisito la reputazione di filosofo della crudeltà e tirannia. Il suo übermensch o superuomo è visto come un brutale fascista che spadroneggia sulle masse. In realtà Nietzsche era una persona premurosa, timida e gentile; era così timido che incaricò un amico di chiedere la mano della donna che amava (non a caso, ricevette un rifiuto). In effetti, egli aveva una sensibilità quasi morbosa per la sofferenza, sia umana che animale. Questo fatto è provato da una famosa vicenda avvenuta quando era già affetto da ciò che gli studiosi supponevano fosse sifilide in fase avanzata. In questa storia, Nietzsche vide un cocchiere frustare un cavallo. Con le lacrime agli occhi gettò le braccia intorno al collo dell'animale, cercando di consolarlo. Poi cadde a terra e quando si risvegliò non era più sano di mente.

Nietzsche non credeva in una qualsiasi forma di vita ultraterrena, e soprattutto non credeva nel cielo del cristianesimo di cui attaccò l'ipocrisia in uno dei suoi ultimi libri: L'Anticristo. Di contro però manifestava un forte apprezzamento del significato e della bellezza di questa vita; lo struggente senso quasi mistico del valore del nostro mondo, del suo dramma e del mistero che la maggior parte di noi percepisce. In effetti, Nietzsche credeva che tutte le idee di una vita ultraterrena fossero il prodotto di un'incapacità di affrontare l'incertezza ed i fatti terrificanti di questa vita; erano, secondo lui, una sorta di calunnia contro la vita, un rifiuto di ciò che per lui era dolorosamente prezioso. Piuttosto che accettare le condizioni della vita - che comprendono dolore, sofferenza e tragedia unite alla bellezza - e viverla per ciò che è, Nietzsche credeva che molti preferiscano considerarla inutile rispetto ad un 'altro' mondo ideale al quale si accederebbe dopo la morte. In un certo senso l'idea di un aldilà era per lui una specie di uva acerba.

Nei suoi taccuini - pubblicati dopo la sua morte - Nietzsche cercò di dimostrare che la ricorrenza fosse un fatto, attingendo dalla scienza della fine del XIX secolo e la legge che sanciva che la materia non possa essere creata né distrutta, ma solo trasformata. Le sue argomentazioni, tuttavia, non furono molto convincenti. Data una quantità limitata di materia ed energia ed un'eternità di tempo, asseriva, l'universo deve necessariamente realizzare il suo numero astronomico ma finito di combinazioni. A quel punto inizierà a ripetersi, e la disposizione delle forze che hanno condotto alla scrittura di questo saggio finirà per ripetersi. Altri filosofi successivamente dimostrarono l'implausibilità della teoria di Nietzsche - il quale non fu mai bravo in matematica - tuttavia la forza delle sue idee sulla ricorrenza non risiede tanto nella dimostrabilità, anche perché egli comunque non fu mai veramente interessato a elaborare una qualche teoria di meccanica cosmica. Ciò che colpisce della teoria della ricorrenza è la poesia, il fatto che una tale idea infonda alla vita un nuovo e drammatico senso. Il senso che ha indotto il romanziere Milan Kundera ad attingere dalle idee di Nietzsche nel suo libro L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere.

dal Film K-Pax


Canale YT MrEssenzialmenteluca

L'idea di ricorrenza, secondo Kundera, dona peso alla nostra esistenza; la carica di una gravità senza cui vi è il pericolo di scivolare nell'incoerenza. Funziona così perché l'idea che le nostre azioni si ripeteranno ancora ci spinge a considerarle in modo diverso. Ciò che sto facendo ora è qualcosa che vorrei fare per l'eternità? Nietzsche era convinto che il pensiero della ricorrenza potesse agire come una sorta di prova, una sfida per determinare il proprio atteggiamento verso la vita. Pensate alla vostra vita. In che modo accogliete l'idea che si ripeterà in tutti i suoi dettagli? Vi sentite - chiede Nietzsche - schiacciati dal pensiero, cioè sentite che la vostra vita è un tale peso che ripercorrerla sarebbe per voi come una sorta di punizione? O vi sembra invece di avere vissuto momenti di tanta gioia e appagamento da accettare i momenti di sofferenza, imbarazzo, noia? La visione di Nietzsche era olistica: tutto è collegato, parte della grande catena del destino, e dire sì ad una gioia - sosteneva - equivale a dire di si ad un'equivalente porzione di dolore e malcontento.

Ne La Gaia Scienza - scritto nel 1881 - Nietzsche riassunse tale idea con un motto: Amor Fati. L'amore per il destino è secondo Nietzsche la prova del proprio carattere. "Voglio imparare sempre di più a vedere quanto bella sia la necessità delle cose; allora sarò uno di quelli che fanno le cose belle." Nella sua brillante, insolita autobiografia Ecce Homo, scritta poco prima del suo definitivo crollo mentale, Nietzsche caricò il concetto. "La mia formula per la grandezza di un essere umano è: amor fati; il volere ciò che si ha, non nel futuro, non nel passato, non in tutta l'eternità. Non solo sopportare le necessità che si presentano ... ma amarle."

Per Nietzsche arrivare a una tale filosofia non era un risultato da poco. Nella sua vita soffrì incessantemente di un nutritissimo assortimento di disturbi: emicrania, problemi di vista, intolleranze alimentari, ed altro. Fu anche un uomo molto solitario, di quelli che vivono in povertà e si spostano di pensionato in pensionato alla ricerca del clima giusto per guadagnare qualche breve tregua dalla loro dura condizione. Era praticamente senza amici, e nessuno lo leggeva. Oggi è uno dei pensatori più discussi del XIX secolo, alla pari di Darwin e Marx, ma durante la maggior parte della sua vita fu sconosciuto o ignorato. Che qualcuno con una tale esperienza di vita abbia abbracciato l'idea della ricorrenza, è una cosa che fa riflettere.

Altri pensatori si sono ispirati all'idea di ricorrenza. Lo scrittore russo PD Ouspensky per esempio usò il tema nel romanzo La Strana Vita di Ivan Osokin. Ouspensky interpreta la ricorrenza in modo piuttosto diverso rispetto a Nietzsche, e le sue idee influenzarono un altro "uomo stregato dal tempo", lo scrittore e drammaturgo JB Priestley. I suoi popolari lavori I Have Been Here Before e Time and the Conways sono forse quelli che esprimono meglio l'idea. Laddove Nietzsche sosteneva che tutto nella nostra vita si ripeta esattamente come prima, Ouspensky offre qualche speranza di cambiamento, suggerendo che in ogni vita si verificherebbero lievi variazioni attraverso cui avremmo la possibilità di cambiare le cose in meglio.

In un certo senso, a pensarci bene, l'insistenza di Nietzsche sulla ricorrenza esatta di ogni dettaglio in realtà induce a concludere che tutto ciò che possediamo è questo momento. Se tutto si ripete in modo identico, allora ogni ricorrenza è in realtà solo questo momento. La prossima ricorrenza e la precedente erano esattamente come quella presente, quindi non c'è davvero alcun modo di distinguere l'una dall'altra. E così, in un certo senso pratico, l'unica esperienza che avremmo sarebbe Adesso. La versione di Ouspensky è un pò più vicina all'idea tradizionale di reincarnazione, in quanto ipotizza la possibilità che con ogni ricorrenza avremmo la possibilità di fare alcuni cambiamenti per il meglio in modo tale da sviluppare noi stessi e, infine, tirarci fuori dal tapis roulant.

Nietzsche avrebbe considerato la teoria di Ouspensky come un altro tentativo di sfuggire alle necessità della vita. La mia sensazione è che per quanto sia interessante intavolare una dialettica tra le due visioni, alla fine la funzione è la stessa. Personalmente, non credo che potremo mai dimostrare la ricorrenza in un modo o nell'altro. Il valore reale di questa idea per me è il senso che può infondere nella nostra vita. Chi tende alla paranoia potrebbe iniziare a soppesare ogni piccola azione, preoccupato che possa essere l'inizio di alcune serie infinite di errori. D'altro canto se qualcosa sta accadendo ora (secondo la teoria) vorrebbe dire che sia già accaduta. Per cui si rischierebbe di cadere vittime dei sentimenti incoerenti di Kundera: cosa importa ciò che facciamo se prima d'ora è già stato fatto innumerevoli volte?

Per quanto mi riguarda, l'idea che la mia vita non sia solo tanti anni di attività senza senso, ma possa invece avere qualche collegamento con il vasto schema eterno delle cose è a volte incoraggiante e stimolante. Non so se sono stato qui prima d'ora, ma so che posso agire come se lo avessi fatto. Riconoscendo questo posso guardare avanti, verso un nuovo ritorno.

Articolo in lingua inglese pubblicato sul sito New Dawn Magazine
Link diretto:

http://www.newdawnmagazine.com/articles/have-you-been-here-before

Traduzione a cura di Anticorpi.info

03 novembre 2014

800mila anni?!

Ma qualcuno prende veramente sul serio un’affermazione del genere?

Allarme Onu sul clima: “Gas serra ai massimi da 800mila anni, resta poco tempo”

Io farei anche 1milione, già che ci siamo, almeno fai una bella cifra tonda. Ho fatto 1milione e due, lascio?

Ma come si fa a tirare fuori una sparata del genere, frutto ovviamente dell’indefesso lavoro di fior fiori di ricercatori di fama internazionale? Lo capisce anche un bambino che è una puttanata galattica. Quando l’ho sentita con i toni seri del telegiornale ho pensato fosse il servizio su uno scherzo, magari di qualche bontempone americano con lo scopo di “sensibilizzare”, come si dice, le persone sul problema apocalittico del riscaldamento globale (altra puttanata galattica). Invece no. Già me li vedo quelli ai piani alti, lì intenti a farsi delle grassissime risate per una vaccata che ti aspetteresti da un amico ubriaco marcio il mercoledì sera. L’asticella delle boiate mondiali è stata spinta ancora un pelo più in alto e ogni volta è una grande occasione di ghignate sguaiate e pacche sulle spalle per l’eccezionale e minuzioso lavoro di rincoglionimento portato avanti nel corso di molti anni. 145mila anni, per essere scientificamente precisi.

E il bello è che poi la gente ci crede davvero… Basta, non so più cosa dire, è talmente assurda come notizia. Di questo passo si inizieranno a prendere sul serio anche le previsioni di Crozza in versione Casaleggio.

22 ottobre 2014

Perchè la Chiesa non dovrebbe concedere il matrimonio ai gay

L’articolo di oggi è un pelo più lungo del solito, ma oh: è da un mese e più che non mi faccio sentire, quindi un bel ritorno in stile colossal ci sta, no?

Si parla ormai a spron battuto degli omosessuali e della loro lotta per l’ottenimento dei diritti civili al momento esclusivi degli etero. Assieme a ciò, molti si spingono anche nella direzione del diritto religioso, tendenzialmente parlando del matrimonio in Chiesa. Purtroppo alla fine si riduce tutto a due schieramenti contrapposti in perenne caciara, per cui mi sembra interessante fornire un’opinione al di fuori di entrambi questi rumorosissimi cori. Da un lato, infatti, ci sono i diretti interessati (gay, lesbiche, trans e chi più ne ha più ne metta); all’opposizione c’è uno sciame di teste di cazzo fondamentaliste che però hanno ragione, ma non per i motivi idioti che credono loro. Sono quelli che, alla domanda “Perchè, secondo voi, i gay non dovrebbero potersi sposare?”, rispondono tutti in fotocopia con frasi del tipo “Perchè Dio ha detto così”, “Perchè la Bibbia lo proibisce” eccetera eccetera, fino a dire che i gay sono persone malate.

Allora, primo: il matrimonio. Ne avevo già parlato un attimo nel post precedente, ma faccio un breve riepilogo generale per provare a spiegarlo meglio. Tutto ruota attorno al concetto di “amore”: il vero amore, l’unico reale, sorge dal momento in cui una persona trova la pace per sè, quando la realtà fisica (animale) viene trascesa, quando il dualismo viene intimamente compreso e, dunque, superato, quando cessano gli attaccamenti a qualsiasi identificazione. Se due persone di questo “tipo”, o che comunque perseguono con decisione questa via, si incontrano e la presenza dell’una aumenta l’entusiasmo dell’altra, allora queste due persone sono degne del matrimonio “dinanzi a Dio” perchè effettivamente sono “dinanzi a Dio”, ovvero si trovano nella vibrazione più perfetta possibile a questo livello di esperienza. Le due persone vedono la reciproca perfetta bellezza al di sopra di ogni senso fisico e scelgono simbolicamente di unirsi a livello animico, di puro “spirito”, tramite una cerimonia “terrena” che funge da semplice raffigurazione esteriore.

Secondo: le due polarità. L’intero universo si basa sul dualismo: senza di esso non ci potrebbe essere esperienza. L’unica energia esistente forma due estremi, uno chiamato “positivo” e uno “negativo”, i quali entrano costantemente in contatto tra loro generando lo spazio e tutto ciò in esso contenuto. La vita è l’unione degli opposti, l’assoluto sopra il relativo. Una polarità, presa da sola, non può fare nulla perchè non ha nulla con cui entrare in contatto. A livello percettivo le polarità si esprimono con “interiore-esteriore”, “bene-male”, “io-gli altri” tanto per dirne qualcuna; a livello animale la principale manifestazione è quella “maschio-femmina” o “uomo-donna” nella versione umanizzata. Tutte le diverse manifestazioni del dualismo sono intrinsecamente collegate tra loro. Trascendere il dualismo, per cui entrare nel “regno di Dio”, significa armonizzare queste polarità, sperimentarle e comprenderle intimamente per riconoscerne la comune origine. E’ il matrimonio.

Terzo: la Chiesa e la società civile. Sono due entità diverse e completamente separate: la prima è, nella sua vera natura (mica quella merda che è diventata nel corso dei millenni), intrisa di significati intimi e interiori esteriorizzati nei vari rituali, come tra gli altri il battesimo, la comunione, la messa, la preghiera e, ovviamente, il matrimonio; la seconda, invece, manca totalmente di questa dimensione ed è ridotta a meri atti giuridici e legislativi. Se vogliamo, la società civile è “a-morale”, pienamente “terrena” e semplicemente esteriore. La Chiesa è una dottrina nel senso migliore del termine, più vicino a quello di “filosofia”, che ha come centro assoluto ogni singolo individuo, al quale fornisce degli strumenti concettuali e pratici utili per l’intima comprensione della realtà, così da giungere alla liberazione, all’illuminazione, al regno dei Cieli, alla massima consapevolezza e via così, credo si sia capito.

Orsù dunque! Arriviamo al titolo dell’articolo, che incidentalmente è anche il nocciolo della questione: er matrimonio religioso a li gay. Concedere il diritto civile al matrimonio omosessuale non ha il minimo significato “vero”, per cui risulterebbe solo in una libertà a livello giuridico e in un riconoscimento di semplici diritti. Nulla di male, insomma: ci sta. Il discorso cambia decisamente quando si parla di matrimonio religioso. Ripeto: qua si sta parlando di religione nel senso più alto del termine. Quella che poi è ora normalmente riconosciuta come “religione” e come “Chiesa” è una buffonata di proporzioni bibliche, frutto di un’innumerevole serie di distorsioni e vaccate colossali. Lasciamole perdere e andiamo più alla radice, al significato.

Non si può giungere, per definizione, all’illuminazione senza aver compreso il dualismo in ogni sua parte. Il matrimonio è la sublimazione del dualismo trasceso. Ammettere l’unione in matrimonio religioso tra due omosessuali significherebbe due cose: la prima è lo snaturamento del matrimonio stesso, in quanto il significato profondo dell’unione degli opposti come via per la libertà personale verrebbe completamente rinnegato; la seconda è la totale ignoranza su queste tematiche e la dimostrazione del rincoglionimento imperante. Siccome la religione ha a che fare con la natura delle cose e della vita ed è un percorso di comprensione, di conoscenza interiore, molto più scientifico che superstizioso, ammettere un atto simile sarebbe un passo verso l’ignoranza. Molto semplicemente: come fa la natura a generare e rigenerare sè stessa? Tramite l’unione degli opposti che, a livello animale, significa mettere il coso nella cosa finchè non arriva la cicogna a portare il frutto vivo di questo contatto. Due persone dello stesso sesso non possono generare una vita, manca l’altra polarità, e senza l’altra polarità manca l’energia utile per scatenare la scintilla. Alla fine della fiera è un discorso di elettricità…

Occhio: tutto ‘sta pappardella non è sottesa dal minimo giudizio. Io non sto giudicando negativamente i gay, men che meno li sto discriminando. E’ la semplice realtà: la natura animale, nella sua forma più… naturale, prevede il congiungimento maschio-femmina. Ogni altra forma è una deviazione, che non significa sia “contro natura”: nulla di ciò che esiste è “contro natura” per il semplice fatto che esiste. Le deviazioni sono perfettamente coerenti con la natura, sono da essa previste e degne di comprensione. Ciò non toglie che restino deviazioni. Un uomo che mangia carne animale è naturalmente naturale; un uomo che mangia un altro uomo è una deviazione. Naturale, certo, ma sempre una deviazione. Dall’unione di due persone della stessa polarità (animale, in questo caso) non può, per natura, sorgere una terza forza (figli, a livello animale). Il matrimonio, ovvero il riconoscimento simbolico dell’unione totale delle due polarità naturali a qualsiasi livello (non solo animale), verrebbe svuotato di senso. Sarebbe come dire “la realtà può esistere anche con una sola polarità”, il che è naturalmente falso.

Un’obiezione potrebbe essere: “E ma Dio accetta tutti e la Chiesa dovrebbe fare altrettanto”. Parzialmente giusto. Gli errori nascono da due interpretazioni sbagliate: quella del concetto di Dio e quella del concetto di Chiesa. Dio ha due “definizioni” (in realtà non ne ha, ma dobbiamo pur capirci in qualche modo, no?): una assoluta per cui Dio è letteralmente tutto, in ogni momento e in ogni luogo e oltre; una relativa, per cui Dio è un preciso stato dell’essere, la vibrazione primaria intrinseca nell’intero universo, percepibile come amore incondizionato e perdono totale. Parlare del Dio assoluto non avrebbe senso: se Dio è letteralmente tutto (ed è così), allora non c’è nulla al di fuori di Dio. Quindi staremmo qui a parlare sempre e solo di Dio e delle sue manifestazioni: e dov’è il bello, se non c’è distinzione? La mente è dualistica (relativa) e non può comprendere l’assoluto così, senza risolvere il dualismo stesso. Quindi stiamo con la definizione relativa: Dio è il massimo stato dell’essere.

La Chiesa, intesa come religione cristiana, è un insieme di concetti e pratiche utili per portare alla comprensione, e quindi alla libertà, ogni singolo individuo. Se è vero che Dio perdona tutti e ama tutti (d’altronde è proprio quello stato d’essere lì), queste persone vogliono farsi perdonare? Lavorano attivamente per giungere alla comprensione o si lasciano trascinare dalla corrente? Perchè finchè non si è in quella vibrazione lì, il perdono ce lo si deve scordare. Dov’è il perdono? Chi perdona chi? Cos’è il perdono? La Chiesa (ricordate: quella vera, non l’istituzione) è sempre aperta per tutti e accetta tutti, ma i concetti che esprime sono ben determinati, chiari e basati su un lungo e profondo lavoro di ricerca e studio, mica sono campati per aria da un cretino che non aveva niente di meglio da fare che inventarsi la favola della buonanotte per il figlio rompipalle. Cambiarli con la scusa che “la società va verso questa e quest’altra direzione” è una cazzata atomica. Allora supponiamo che un domani la società viri verso la totale accettazione dell’omicidio come pratica quotidiana di risoluzione delle controversie. La Chiesa cosa dovrebbe fare? Dire “apriamoci ai carnefici, d’altronde l’omicidio porta a Dio”? Sarebbe come dire che un giorno le persone si convinceranno che la velocità della luce non è di 300.000 chilometri al secondo ma di 1.000. Cosa dovrebbe fare la comunità scientifica, cambiare di colpo e dire che sì, bisogna aprirsi e adeguarsi ai tempi?

La Chiesa è una precisa filosofia, un modo (non l’unico) per esprimere un sapere profondo ed effettivamente inesprimibile a parole. Se ne fai parte significa che in quei concetti ti ci ritrovi e hai fame di comprensione. Oggi, ovviamente, non è così: tendenzialmente appena nasci bam! sei battezzato, ma qui stiamo parlando di una forma pura di Chiesa… Facendo tuoi questi concetti dovresti renderti conto di stare muovendoti verso una clamorosa conoscenza “superiore” e capisci che alcune cose ti aiutano a comprendere la vita, altre no. Dire che “basta una polarità” non aiuta, perchè i fatti palesemente affermano una realtà diversa. Pretendere che la Chiesa si adegui a una falsità solo perchè sempre più persone pensano sia giusta sarebbe deleterio. Credi davvero che “una polarità basta”? Figlio mio o figlia mia, sei ben lontano/a dalla comprensione. La Chiesa è sempre aperta, ma sei tu che devi capire un paio di cosucce, non è lei che deve adeguarsi alla tua ignoranza.

Il che non significa che tu sia un pirla da denigrare, assolutamente no. Nell’intero discorso non c’è la minima traccia di giudizio. Lungi da me, non è mia intenzione fare discriminazioni di alcun tipo. Se dicessi che una sola polarità, diciamo quella positiva, non può generare la realtà sarei razzista nei confronti di quella negativa? O che è necessaria l’unione tra positivo e negativo altrimenti non se ne fa niente, starei discriminando le “unioni mono-polari”?

Il fatto è che, al giorno d’oggi specialmente, il 99,99999999% delle persone che vogliono sposarsi dovrebbero farlo civilmente, non in Chiesa. Tendenzialmente il matrimonio è visto come un discreto sbattimento: e la cerimonia, e il vestito, e gli invitati, e le bomboniere, e il pranzo, e gli anelli, e i soldi! I soldi! Il significato vero? E dov’è? Che è, se magna? Certo, si dice sempre di voler sposare il proprio fidanzato/la propria fidanzata perchè lo/la si ama alla follia e si vuole passare tutta la vita assieme. Piccolo test per i futuri sposini maschietti, ma vale analogamente per le femminucce: mentre siete per strada, casualmente i vostri occhi si affacciano su un gran bel pezzo di figliola a pochi metri da voi. Cosa succede? Parte la bavetta da attizzo? Bene: il matrimonio religioso non è (ancora) roba per voi. Probabilmente più avanti sì, ma al momento se proprio avete la pulsione alle nozze, sposatevi civilmente.

C’è una pubblicità stupenda, in questo senso, perchè è il manifesto perfetto dell’infimo livello mentale attuale, quello che chiamo “rincoglionimento”. E’ la pubblicità della ING Direct, quella dove c’è la tizia alla finestra, impegnata a guardare verso l’infinito e immersa in pensieri del tipo “Chissà se nello spazio siamo soli, oppure c’è qualcuno, che non vediamo”. Poi scatta e, innervosita, fa: “Ma la vera domanda è: perchè devo pagare quando prelevo col bancomat?” e la voce fuori campo della pubblicità: “Le grandi domande sono cambiate”. Fantastica pubblicità. Ne hanno fatte diverse, tutte sulla stessa falsariga, tutte raffiguranti perfettamente il puttanaio mentale di una superficialità e ignoranza mostruose nel quale vive inconsapevolmente la stragrande maggioranza delle persone.

Ecco perchè da un lato abbiamo dei cretini che vogliono il matrimonio religioso e dall’altro altri cretini che dicono di no solo perchè sta scritto in un libro ritenuto sacro non si sa neanche bene per qual motivo, forse per passaparola. Li chiamo “cretini” col massimo rispetto. Sarebbe forse più giusto dire “ignoranti” e l’ignoranza, si sa, è una brutta bestia.

Bene, discorso finito. Che poi qui si è volati abbastanza di fantasia, immaginando una vera Chiesa divulgatrice di un’autentica filosofia scientifica volta alla libertà individuale, mentre nella realtà ci si trova di fronte a una mera istituzione internazionale a fine di lucro e sodomia delle masse. Per come è conciata, per come vengono percepiti i suoi insegnamenti e per come si comportano i suoi devoti, si potrebbero concedere tutte le libertà del mondo, tipo: perchè non fare sposare anche i bambini? Dopotutto non disse forse nostro Signore “Lasciate che i bambini vengano a me”? Non sono anche loro forse creature di Dio? Per giunta le più degne di tutte le creature, poichè innocenti? Anzi no, possiamo fare di più: possiamo direttamente togliere loro la vita, così andranno tutti da Gesù e vivranno eternamente con Lui nella beatitudine dei Cieli. Questo è ciò che renderebbe nostro Signore più felice.

Ormai la Chiesa è completamente svuotata di qualsiasi comprensione e significato profondo, in questo senso è diventata uguale alla società civile, è un mondo morto guidato da un tizio che rappresenta il nulla, fa comizi, va in giro per il mondo, sorride e saluta orde di decerebrati mentre vuole “aprire la Chiesa e modernizzarla”. No, finiamola di aggiungere danni su danni: questa Chiesa va rasa al suolo, fuori dalle palle tutti, via i cardinali, via lo Ior (una banca, cazzo! Gesù con una banca!), via case, appartamenti, loft, anelli d’oro e, soprattutto, via quella marea di stronzate fumanti provenienti da quelle bocche morte. Aria, gente, aria! Questi beatificano uomini ad minchiam, li santificano pure rendendoli idoli da adorare, ma che è?! Ci vuole così poco per diventare beati?!

E milioni di persone a mò di follower che basano la loro visione della vita sull’assunzione indubitata di interpretazioni altrui su parole di altri ancora, non tentando nemmeno di dare loro un senso sentito in prima persona, dando così vita a quegli abomini concettuali del “è vero perchè è scritto lì” e cambiando istantaneamente idea in base a quello che dice il Papa di turno. Poi ci sono quelli che, al grido di “libertà, tremenda, tremenda libertà!”, pretendono di adeguare delle pratiche con un discreto significato filosofico-scientifico (che essi ignorano) alle loro paturnie giornaliere e sono fortunati perchè quelli di prima, i decerebrati e i loro “leader spirituali”, ignorano anch’essi questo significato, per cui le loro argomentazioni “difensive” risultano penose e perfino controproducenti. I terzi attori sono gli snob, i fighi della madonna, quelli che, anche comprensibilmente visto il delirio di asineria di cui sopra, si distaccano prepotentemente da qualsiasi cosa non sia prettamente materiale o quantomeno misurabile, incoronano quattro cagate in croce della scienza come faro dell’umanità e si convincono di essere nel giusto, di essere più evoluti, contro il sistema.

Ragazzi, è un macello inaudito. Io sono sempre a favore delle libertà e ne concederei sempre di più: poi sta alle persone sapersele gestire. Un po’ di responsabilità e maturità, diamine! Anche sul matrimonio religioso ai gay… ma mettetelo, chi se ne frega, tanto il significato “alto” del matrimonio è bello che andato. Chi se lo sente dentro è al di sopra di ogni disputa in merito e se ne sbatte altamente le balle se gli altri che si sposano non lo percepiscono, se ne dispiace e va avanti per la sua strada.

Mi viene lo scoramento intenso, però, quando vedo il livello medio di comportamento e pensiero della gente. E faccio un applauso a chi ha messo su tutta ‘sta baracca mondiale perchè, obiettivamente, è geniale e funziona maledettamente bene, da tantissimo tempo per giunta, e la freccia principale al suo arco è lo spostamento costante della nostra attenzione verso l’esterno, lontano dall’unico sentire di cui disponiamo. Se si riesce ad accorgersi di questo e a prendere delle piccole contromisure, allora sì che glielo si mette in quel posto al cosiddetto “sistema”. Tra le due vie disponibili, se ne prende una terza: la propria.

Spero di non aver offeso nessuno, o meglio: so di non aver voluto offendere nessuno, solo mi dispiace se qualcuno se l’è presa. Non era mia intenzione e quello che ho scritto, ripeto, l’ho scritto senza la minima idea di discriminare qualcuno. E se siete arrivati a leggere fino a qui, sono contento: significa che sono riuscito a stuzzicarvi ben bene. Toh dai, mi do una bella pacca sulla spalla…

Pace.

24 settembre 2014

Libertà, questa sconosciuta - Piccolo addendum: il gioco della coppia, il vero amore e il matrimonio

Come preannunciato nello scorso articolo, ecco arrivare nelle vostre case l’ultimo appuntamento della saga in testa a tutte le classifiche di vendita nel mondo, tradotta in 114 lingue e citata perfino dai miliziani dell’ISIS come “esempio di libertà di espressione e manifestazione di pensiero”. Oh, l’hanno detto veramente: l’intelligence americana ha dichiarato “autentiche” le trascrizioni audio, quindi c’è da fidarsi…

Vabbè, basta con le vaccate (l’intelligence americana, pff!) e andiamo al sodo. Nel P.P.S. dell’ultimo post avevo scritto che poi il fatidico messaggio alla tipa lo avevo mandato e che, se l’opzione dovesse dimostrarsi praticabile (ed è un “se” abnorme per vari motivi che esulano da questo contesto), mi piacerebbe molto passare tanto tempo con lei, fino a diventare una coppia fissa. Nulla di strano, direte voi. Ma se fosse tutto nella norma non starei qui a scrivere, non vi pare? Quindi, ecco la riflessione di oggi.

Le varie cotte avute in passato contenevano sempre una discreta, o anche più che discreta, componente sessuale la quale, come ho scritto poco tempo fa, ha l’incredibile capacità di offuscare la realtà delle cose davanti i nostri occhi, togliendoci lucidità e guidandoci dove più aggrada all’animale. Per cui spesso, appena si entra in simpatia reciproca con, nel mio caso da maschietto, una ragazza carina, bam! alla semplice simpatia si aggiunge piano piano la scimmia dell’accoppiamento e la nostra lucidità va a farsi benedire. Ricordatevi: per quante belle parole possiamo sprigionare dalle labbra, cari maschietti e care femminucce, la realtà dei fatti è una e soltanto una: per come siamo messi al momento, l’animale è predominante, ci guida e ci porta dove vuole lui senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, dato che ne siamo totalmente identificati.

Stavolta, però, con mia somma sorpresa, la scimmia dell’accoppiamento è molto, ma molto, ma molto quieta. Quindi, la situazione è più o meno così: ‘sta ragazza mi piace tanto; sogno diventi la donna della mia vita; manca il desiderio sessuale. Il che dovrebbe suonare in contrapposizione con l’idea normale di “coppia”, giusto? Una coppia vera di innamorati scopa e ci dà dentro alla grande, e che diamine!

Eppure, per me, non è così. Dunque sorge il quesito se i rapporti sessuali e il costante desiderio sessuale siano una delle prerogative fondamentali per definire due persone innamorate una “coppia”. Devo dire che provare affetto e desiderio di stare con lei per la persona che è, senza avere l’impulso di “possederla” (mamma mia come non mi è mai piaciuto questo concetto…), è decisamente meglio che trovarsi schiavizzati dalla voglia alterante di strapparle i vestiti a morsi. Non lo so, visti gli ultimi articoli non vorrei sembrare un bacchettone anti-sesso impegnato nella crociata per la purezza dell’anima o robe simili, perchè non lo sono: voglio solo raccontare le mie sensazioni personali e credo che sul sesso ci sia una confusione mostruosa, oltre che una schiavitù imperante mascherata da divertimento, libertà e leggerezza.

Solo che l’idea di due persone che si piacciono reciprocamente al punto di potersi dire innamorate, escludendo però la componente sessuale e l’irrefrenabile desiderio di sbriciolarsi i vestiti di dosso a vicenda, più che all’etichetta di “innamorati” porta verso quella di “amici”. Stretti, ma amici. Sarà, ma a me essere innamorato e non avere fra i piedi la scimmia dell’accoppiamento piace molto, ma molto, ma molto di più. Si è più lucidi, si capisce meglio che tipo di persona sia l’altra, se ne apprezza di più l’unicità. Invece di volere infilare il coso nella cosa a ripetizione, l’istinto porta di più verso un bell’abbraccio sentito, di accettazione e affetto, di dare più che di ricevere, di riconoscimento della bellezza altrui. Si vede la bella persona, non la bella figa, detto più terra terra.

Al che mi è tornata in mente una citazione di Gandhi che avevo letto un paio d’anni fa nel libro “Antiche come le montagne”. All’epoca mi sembrò molto strano, quasi un’eresia, ma ora non è più così assurdo.

“So per esperienza che fino a quando considerai mia moglie carnalmente, non ci fu tra noi vera comprensione. […] Fino a quando desiderai il piacere carnale, non potei esserle di alcun giovamento. Nel momento in cui dissi addio a una vita di piaceri carnali, tutti i nostri rapporti diventarono spirituali. La sessualità morì e al suo posto regnò l'amore.”

Non credo intendesse tanto “non fare più sesso”, quanto “non essere più dipendenti dal desiderio sessuale”. Il celibato, come ho già scritto, è una pratica ormai sputtanata che ha, però, un fine profondo: capire come l’istinto sessuale funzioni ed eliminare la nostra dipendenza da esso, comprenderlo appieno e liberarsi automaticamente (naturalmente) dal suo giogo. Solo allora è davvero possibile avere con esso un rapporto di armonia. Inoltre ci consente di avere una maggiore lucidità e “libera” spazio e tempo per la comprensione di sè. Una volta raggiunto questo punto, non è che si mette una croce sul sesso e finita lì, no no: si può farlo tranquillamente ma non si avrà il desiderio di farlo “perchè così sto bene” (ovvero “perchè ne ho bisogno”): lo si farà e basta. La felicità personale non dipenderà più dal sesso.

Che, detto così “lo si farà e basta”, sembra brutto, una specie di sdoganamento della pratica sessuale. Non è così, è l’esatto contrario: è la sublimazione, la sacralizzazione del sesso. La frequenza dei rapporti cala naturalmente perchè non se ne sente più il bisogno ossessivo che abbiamo al momento (questo è il vero sdoganamento) e allora sì che il sesso assume un significato più profondo, speciale, “magico”, vero.

La dipendenza dall’animale è il motivo per cui 1) tradiamo fisicamente il/la nostro/a partner e 2) consideriamo questo tradimento inaccettabile. E’ una situazione penosa, ma è la realtà dei fatti: siccome il legame di coppia è basato per di più sul sesso (è inutile girarci intorno e fare i romanticoni), appena si scopre che il/la partner ci cornifica bellamente, tendenzialmente il rapporto finisce lì. Non sempre, per carità: ci sono coppie apparentemente felici nelle quali ci si cornifica a vicenda a nastro ed entrambi ne sono perfettamente consapevoli, ma lasciamole fuori. Il punto è: il tradimento dell’adulterio è percepito come pesante, molto pesante. Se, invece, togliessimo lo sbilanciamento estremo dell’istinto sessuale e riuscissimo a fondare un rapporto di coppia sulla bellezza vera del/della partner, magicamente il tradimento fisico non rientrerebbe più nelle opzioni e, nella remota possibilità che accada, non avrebbe per nulla quel carico impressionante di importanza che ha ora.

E’ tutto un altro livello di discorso… Allora e solo allora si comprendono, si apprezzano e si accettano intimamente i voti nuziali: “nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finchè morte [fisica, ndM] non ci separi”. Si sente che non sono assurdità, nè tantomeno imposizioni morali forzate, ma sono la natura intrinseca della vita di coppia, il vero matrimonio. E’ come il sacerdozio e il celibato sacerdotale: è una pratica fisica simbolica di un qualcosa di più alto, etereo, intimamente reale. Non ci si dovrebbe sposare per nessun’altra ragione che non sia un amore “animico”, superiore all’attrazione fisica e da essa indipendente.

Ma oggi il concetto di “amore” riferito alla coppia è enormemente distorto e inflazionato e si mettono cuori su cuori ovunque e totalmente a casaccio. Basti pensare alla festa di San Valentino e al puttanaio consumistico che è per tutti. Ci si sposa per ottocentonovantasettemilaquattrocentocinque motivi e tra questi manca completamente quello più importante, l’unico davvero rilevante: l’amore. Finchè non si riesce ad accorgersi (comprendere) che non stiamo davvero vivendo noi la nostra vita, ma che siamo succubi della macchina biologica mente/pensieri + corpo/emozioni, è IMPOSSIBILE amare veramente. Mi dispiace essere così duro, ma è la realtà. Finchè non c’è un ridimensionamento, un riequilibrio, una comprensione un filino più profonda dell’istinto sessuale, non ce n’è: l’attrazione per il/la partner sarà sempre pesantemente alterata dalla scimmia dell’accoppiamento e il risultato NON PUO’ essere chiamato “amore”.

C’è chi dice che la più alta forma d’amore sia l’amicizia, quella vera. Non è un concetto così lontano dalla realtà…

Quindi, per concludere, è tutto perfettamente collegato: il celibato, il matrimonio, la “salvezza dell’anima”, il sacerdote, l’Atman, il nirvana, i Cieli, il Giudizio, Satana, Cristo, il samsara, i peccati, Lazzaro, la fede, i demoni, i Comandamenti, l’inferno, il Bene, il Male, l’universo, la vita, la carne, lo spirito. Tutto, tutto, tutto. Ormai da qualche anno, con una netta intensificazione negli ultimi 2, su questo blog si sta parlando di una sola cosa: di TE. Puoi rimanere cieco e sordo, invischiato nella superficie della materia, a girare eternamente nella ruota del criceto, schiavo della macchina biologica, identificato totalmente con essa e perfettamente inconsapevole; puoi comprendere di essere qualcos’altro, al di fuori di qualsiasi meccanica, un indefinibile essere vivente, la vita pura al di sopra della materia, intoccabile, immutabile, in armonia con la perfezione intrinseca dell’universo.

Ignoranza o comprensione, morte o vita, lettera morta o parola viva, schiavitù o libertà: prego, a voi la scelta.


P.S.: già che ci sono vi metto un’altra citazione di Gandhi. L’ho letta adesso mentre cercavo quella che ho messo prima, nel post. Riguarda il digiuno e quale sia la sua vera utilità, ma è un discorso che vale in tanti altri ambiti, sesso e pulsione sessuale inclusi.

E’ noto a tutti che, privati di cibo, essi [i sensi] sono impotenti, e così il digiuno intrapreso allo scopo di controllare i sensi è senza dubbio molto utile. Ad alcuni il digiuno non serve a nulla, perché, presumendo che basti il digiuno meccanico a renderli immuni, essi privano il corpo di cibo, ma intrattengono la mente su ogni sorta di ghiottonerie, continuando a pensare a quello che mangeranno e berranno finito il digiuno. Un tale digiuno non serve loro a controllare né il palato né la lussuria. Il digiuno è utile quando la mente collabora con il corpo affamato, vale a dire quando coltiva l'avversione per gli oggetti che sono negati al corpo. La mente è alla radice di ogni sensualità. Il digiuno, perciò, ha un'utilità limitata, perché un uomo che digiuna può continuare a essere governato dalla passione.

10 settembre 2014

Libertà, questa sconosciuta - Parte III: quando l’animale tira

Continua la saga de “Libertà, questa sconosciuta” con il terzo capitolo, dopo il successo planetario dei precedenti due episodi (“planetario” nel senso che, in linea teorica, è possibile leggere gli articoli in ogni parte del globo). Oggi ci distacchiamo un po’ dall’aspetto più prettamente sessuale per spostarci verso la sfera del pensiero e dell’emozione e vedere in che modo l’animale (mente+corpo) tiene costantemente le redini e ci tira meccanicamente dove vuole lui.

Qui di fianco, nella colonna destra della pagina, c’è un piccolo box intitolato “informazioni personali”, una specie di spazio dove mettere una sommaria descrizione del tizio che sta dietro il blog. Da alcuni mesi se non addirittura da un anno, ho scritto: “posso tranquillamente affermare di non sapere chi o cosa io sia”. Bene, l’altro giorno questa consapevolezza si è fatta concreta come non mai.

Senza scendere troppo in inutili dettagli, mi sono ritrovato per l’ennesima volta in una situazione di stallo, preso in mezzo tra il fuoco del coraggio e dell’apertura e quello della paura e chiusura dall’altro. Il nodo della faccenda: mandare un messaggio di chat a una ragazza che conosco. Già altre volte, in passato, mi è successo di avere problemi nel relazionarmi con ragazze che, nella mia testa, vedevo come possibili compagne di vita. Niente robe da maniaco stalker, sia chiaro, ma il pensiero di propormi per una relazione diversa dalla semplice amicizia mi ha sempre bloccato. Amica sì, finchè vuoi: compagna no.

Comunque sia, il meccanismo che si è sempre presentato in queste occasioni funzionava più o meno così: quando mi ritrovavo a casa, per i fatti miei, pensavo dovessi in qualche modo fare a capire alla signorina di turno il mio interesse nei suoi confronti; quando poi arrivava il momento di agire, blocco totale, figlio del signor Mille Paurosi Film Mentali e di sua moglie Paura Del Giudizio. Puntualmente mi ritrovavo nel letto, giusto prima di concedermi a Morfeo per la notte, ad auto-commiserarmi e a darmi del cretino per la mancata azione, promettendomi di porla in essere l’indomani o alla prima occasione utile. Inutile aggiungere come la promessa non venisse mai mantenuta.

L’altro giorno stava succedendo ancora: quando ero in una situazione nella quale era impossibile anche solo pensare di mandarle il messaggio, volevo tanto farlo; non appena avevo tra le mani il telefonino o la tastiera del computer, esitavo. Una volta, due volte ed eccoci alla terza. E’ sera, sono a casa e il telefonino è lì: riuscirò a prenderlo, aprire la chat, digitare il messaggio virtuale e premere “Invia”? Sì, dai! No! No no no! E’ meglio di no. E sono partite mille scuse e mille paure, ma ero convinto: meglio non mandarlo adesso, magari domani. Passano, boh, un paio d’ore e vado a letto. Sono lì sdraiato faccia al soffitto e sento che è il momento del programma “auto-commiserazione e auto-insulti motivazionali” ma stavolta c’è un non so che di diverso: mi accorgo. I pensieri sono lì, li sento chiaramente e sono della stessa fattura delle altre volte: “avresti dovuto scriverle, stupido! Perchè non l’hai fatto? Di cosa hai paura?” eccetera eccetera. La differenza è che, ora, potevo sentirli distintamente senza esserne afflitto. “Aah, eccoli qui. Sono praticamente gli stessi pensieri e le stesse emozioni che ho già provato tante altre sere in passato, quando si sono verificate situazioni simili”.

E mi sono accorto che questi pensieri e queste emozioni, praticamente il contrario di quelli delle “scuse e paure”, erano riusciti sempre a convincermi anche loro. E’ sempre andata così: quando ero sul punto di compiere l’azione, mi convincev(an)o a lasciar stare; quando era impossibile compierla, mi convincev(an)o a farla. Ma ne ero sempre convinto, per me era sempre giusto, con la massima fiducia: nel momento “scuse e paure” ero totalmente persuaso fosse meglio rimandare; nel momento “auto-commiserazione e auto-insulti motivazionali” ero totalmente persuaso fosse meglio scriverle/parlarle o vattelapesca.

Nell’attimo in cui è arrivata questa presa di consapevolezza, è sorto automaticamente un pensiero: ma allora io chi/cosa sono? E dove sono? In un momento presente sono totalmente convinto sia giusto agire in una determinata maniera perchè, pensandoci e sentendo le emozioni, è l’unica cosa saggia da fare; in un successivo momento presente sono totalmente convinto sia giusto agire in una maniera opposta alla precedente perchè, pensandoci e sentendo le emozioni, è l’unica cosa saggia da fare. Ma io, in tutto questo, dove sono? Il tizio che ha vissuto i due momenti delle persuasioni opposte, e ha automaticamente dato loro ragione, dov’è e che cos’è? Perchè non lo sento? Perchè non riesco a percepirlo? Finora ho sentito solo un “me” convinto di una cosa; poi questo primo “me” è sparito e ce n’era un altro convinto praticamente del contrario; poi è tornato; poi è sparito di nuovo; tornato, sparito, tornato, sparito e via dicendo.

Ma quell’esserino che ha vissuto entrambe le persuasioni… cos’è? Quel tipo che ha mosso il corpo e la mente in entrambe le occasioni… dov’è? IO dove sono? Perchè mi sono accorto di essere sempre stato tirato in ogni dove da qualcos’altro che non sono propriamente io: l’animale, cioè la mente (riempita da anni e anni di puttanate) e il corpo (con emozioni alterate dalle puttanate mentali). E’ questo che si attacca morbosamente a una convinzione, non noi. Ma siccome noi ci percepiamo a malapena solo ed esclusivamente come animali (mente/pensieri+corpo/emozioni), questa convinzione diventa nostra, convince anche noi. In questo modo, l’animale ci tira dove vuole lui e/o dove gli è stato insegnato.

In questo modo la vita che anima il corpo e la mente è “offuscata”, non riesce ad esprimersi nella sua completa magnificenza e perfezione perchè una parte, anche piuttosto corposa, della sua energia finisce per prendere la spirale discendente dell’animale. E badate bene: io ho scritto qui sopra solo un piccolo esempio, ma ciò di cui sto parlando è un’eventualità nella quale cadiamo inconsapevolmente decine e decine di volte ogni singolo giorno.

Attenzione: con “convinzione” non intendo “sono convinto che la Terra sia piatta”, ma piuttosto “sono convinto sia giusto/meglio fare così, dire questo e non quest’altro, comportarmi in un modo e non in un altro” e così via in un determinato momento presente. E’ una convinzione radicata, un’ovvietà talmente ovvia da identificarvicisi totalmente e senza nemmeno accorgersene.

E attenzione: l’animale non è cattivo, non lo fa perchè ce l’ha con noi o vuole il nostro male, per cui bisogna ingaggiare una guerra contro la nostra mente e le nostri emozioni. La natura biologica, figlia di questo mondo, nata qui e destinata a morire qui, prevede una modalità base di vita o sopravvivenza, da chiamare in causa in situazioni particolari e non per troppo tempo. Per il resto, nella vita “normale”, dovrebbe essere il pastore a guidare, a insegnare all’animale a vivere veramente.

Purtroppo, però, il pastore si è addormentato da parecchio: diciamo che dopo i primi anni di vita qui, nei quali l’animale ha avuto lo scopo di metterlo a proprio agio nel corpo, nella mente e nel mondo fisico, avrebbe dovuto subentrare lui al timone così da svolgere pienamente il proprio compito e consentire all’animale di capirne di più sulla profondità della vita, elevandolo a vette altrimenti inesplorabili, sacralizzandolo. Ma il tempo passa, l’animale impara da altri animali giusto un paio di cose da animali e intanto continua a trovarsi costretto a fare le veci del pastore, il quale intanto persiste tenacemente nel suo pisolino. Sperduto, ignorante e impaurito, l’animale si barcamena come può e come sa, e sa veramente poco. L’unico suo scopo è la sopravvivenza in un freddo bosco notturno, circondato da bestie come e peggio di lui. Il poveretto cerca in tutti i modi di svegliare finalmente il suo pastore, con continue zampate e richiami colmi di disperazione. Ogni tanto il volto del padrone mostra dei piccoli segnali di coscienza e a volte capita addirittura di vedergli aprire leggermente gli occhi, per poi richiuderli nuovamente. In quei piccoli ma preziosi momenti, l’animale cede naturalmente il passo all’autorità del suo pastore e finalmente si sente sollevato di non avere più un carico così pesante sulle spalle. E questi segnali, seppur minimi, donano energia e passione alla bestiola, la quale cerca ancora più veementemente di far svegliare il suo fautore.

E voi, volete continuare a dormire?

P.S.: il messaggio alla ragazza, poi, l’ho mandato e in men che non si dica me la sono brutalmente scopata. Adesso fanno 132 in tutto. Perchè un uomo si misura da quante donne si fa, giusto?

P.P.S.: no, sarcasmo a parte: il messaggio gliel’ho mandato veramente e, dalle successive conversazioni fisiche e digitali ho capito meglio quanto sia una ragazza meravigliosa e delicata. Diventeremo mai una coppia? Boh. Onestamente è già un grandissimo privilegio averla come amica. Non nascondo mi piacerebbe averla con me più tempo possibile, ma almeno per il momento è una circostanza impraticabile… Storia lunga.
Avrei qualcos’altro da scrivere ma mettendo giù tutto mi sono accorto che questo P.P.S. sarebbe diventato troppo lungo, snaturando la sua qualità principale: la brevità. Quindi aspettatevi un piccolo “addendum” tra qualche giorno.

05 settembre 2014

E’ la Chiesa dei morti, altro che “Santo Padre”…

Chiariamo un momento cosa significa essere un prete, ovvero la figura che esso rappresentava, o doveva rappresentare, in origine prima di venire completamente distrutta da un gruppo sempre più grande di pecoroni con e senza croce al collo. Prendo spunto dalle dichiarazioni di qualche tempo fa da parte di Papa Francesco sulla possibile ridiscussione del celibato sacerdotale in senso meno restrittivo, dando quindi un cenno di apertura all’eventualità di avere preti sposati e con figli.

Il celibato sacerdotale, come ben sappiamo, ha una tradizione millenaria ed è uno dei paletti fondamentali per chiunque voglia intraprendere la carriera impiegatizia nella Chiesa Cattolica Corporation. Ridiscuterla così, di colpo, è dunque una decisione di non poco peso, al che mi sono chiesto se le persone si rendano davvero conto del perchè il celibato esista, di quale sia il suo significato profondo. Di pari passo, non penso sia ben chiaro il mestiere del prete, che più che un mestiere istituzionalizzato dovrebbe essere una vocazione personale.

Il prete è una persona non diversa da un monaco buddhista: entrambi dedicano la propria vita alla ricerca del lato divino della vita, seguono un piccolo tarlo interiore e vedono dove questo li porta. Il prete è fondamentalmente un guerriero spirituale, positivamente insoddisfatto del mondo per come gli viene descritto e in viaggio verso una comprensione migliore, più profonda, più vera. E’ un ricercatore, di larghe vedute, di mente aperta, grande passione, costante dedizione e forte umiltà di fronte alle lezioni necessarie da imparare sulla via della conoscenza.  L’unica sua guida è il suo sentire interiore.

Il celibato, che non è nemmeno propriamente un dogma ma comunque una pratica sostanzialmente obbligatoria, ha lo scopo di permettere al presbitero di focalizzarsi sull’idea della completezza dell’individuo, il quale non ha minimamente bisogno di essere completato da un altro essere umano. La storia delle due metà della mela è affascinante, romantica e ispiratrice ma fondamentalmente falsa perchè suggerisce l’incompletezza, e quindi l’imperfezione, di ogni essere umano, il quale si troverà nella vitale necessità di trovare la sua anima gemella (o altra metà) per completarsi. L’illuminazione, i Cieli eccetera sono invece etichette per dare un nome a uno stadio superiore dell’essere nel quale ci si rende conto di essere già totalmente completi senza dover dipendere dalla presenza di niente e nessuno. Invece di porre la propria felicità e il proprio amore alle dipendenze dei capricci di altre persone, si diventa consapevoli della presenza interiore dell’amore perfetto: per cui, invece di provare a colmare il vuoto interiore con la considerazione altrui (quello che noi chiamiamo comunemente “amore”), proprio in virtù dell’acquisita completezza interiore e del contemporaneo sentimento di un infinito amore incondizionato si possono davvero amare gli altri. Da schiavi dell’”amore”, che è il nostro stato attuale, si diventa “irradiatori” di amore vero.

Il vero prete-guerriero-ricercatore ha questo stato divino come stella polare della sua vita, e il celibato non è quindi una privazione o una repressione degli istinti, ma una pratica attraverso cui comprendere meglio lo stato di schiavitù nel quale si trova come essere umano inconsapevole. E’ un mezzo, non un fine.

Veniamo ora al prete come lo intendiamo normalmente noi, povere teste di cazzo. Come si fa a diventare prete? Già il fatto che si sia identificato un percorso prestabilito per diventare prete è una bestemmia universale perchè appiattisce completamente il presupposto di base del vero cercatore della verità: la guida interiore, il tarlo. Sono previsti, infatti, degli studi istituzionalizzati della durata di 8 anni: 4 di università più 4 di seminario, oppure 8 di seminario. Se anche hai una sincera vocazione per dedicare la tua vita alla ricerca, la tua voglia di conoscenza viene distrutta qui. Già che devi andare a scuola per studiare la vita è un’offesa alla vita stessa perchè, invece di seguire la vocina interiore e i lampi di comprensione personale che regala, sei obbligato ad assimilare mentalmente delle nozioni di altre persone, senza avere un vero sentire interiore. Per cui è completamente inutile. Per di più queste nozioni sono un abominio mostruoso spacciato per verità assoluta e i tempi attraverso i quali vengono insegnate sono strutturalmente bloccati, istituzionalizzati, non spontanei, non personali. Il risultato sono uomini-pappagallo, tutti uguali o, meglio, tutti rincoglioniti uguali.

E’ la vittoria dell’istituzione sulla comprensione, del ruolo sulla persona: diventi prete perchè lo diciamo noi e solo dopo che impari le cose come le vogliamo noi. E’ la vittoria della scrittura morta sulla parola viva, come dice il tizio principale della tradizione cristiana, nel vangelo degli Esseni:
E Gesù riprese: «Non cercate la legge nelle vostre scritture, perché la legge è vita mentre la scrittura è cosa morta. Vi dico, in verità, che Mosè ricevette le sue leggi da Dio non in forma scritta ma attraverso la parola vivente. La legge è la parola viva dei Dio vivente, è rivolta ai profeti vivi ed è indirizzata agli uomini viventi. La legge è scritta in tutto ciò che vive, la ritroviamo nell'erba, nell'albero, nel fiume, nella montagna, negli uccelli del cielo e nei pesci dei mare; ma dobbiamo cercarla soprattutto in noi stessi […] Ma voi chiudete gli occhi per non vedere e vi otturate le orecchie per non sentire. lo vi dico, in verità, che mentre la scrittura è opera dell'uomo, la vita e tutte le sue schiere sono opera dei nostro Dio. Perché dunque non ascoltare la parola di Dio scritta nelle sue opere? e perché studiare le scritture morte, che sono il lavoro delle mani dell'uomo?»

(“Ma il vangelo degli Esseni non rientra in quelli ufficialmente approvati dalla Chiesa blablabla”. Benissimo, cagacazzi a pappagallo, scribi e farisei de noantri, andate a prendere Matteo 15, 1-9 e troverete praticamente lo stesso concetto solamente meno esplicitato)

Per questo i preti, i vescovi, i cardinali sono tutti morti: perchè non guardano al mondo e alla vita con una sincera spontaneità e desiderio di conoscenza, ma si adagiano su parole altrui da altrui interpretate, le imparano a memoria e finisce lì. Poi saranno anche brave persone, non lo metto in dubbio e non è sulla singola persona che scaglio la mia lancia elettronica. Il focus è il ruolo del sacerdote in generale.

Il Papa, di conseguenza, è il leader supremo dell’esercito dei morti. In teoria, originariamente, il Papa doveva essere il Santo Padre, ovvero colui che tra tutti i cercatori del divino aveva raggiunto il punto più alto, l’uomo più consapevole, con maggiore comprensione della realtà, il vero Leader con la “L” maiuscola: umile, aperto alla conoscenza, non desideroso dell’attenzione altrui e vero. Doveva essere il miglior esponente fisico della vibrazione fondamentale dell’universo, il più puro e limpido “canalizzatore” di quello stato dell’essere più alto. Questo originariamente.

Oggi è un cialtrone. E’ il re dei morti per un motivo molto semplice: è stato talmente bravo ad assimilare le vaccate del seminario, così perfetto nell’annullare le proprie intuizioni e conformarsi all’istituzione da essere addirittura premiato come massimo rappresentante della dottrina istituzionale stessa. È il morto dei morti al quale una grande massa di altrettanto morti presta dedizione e venerazione. Non è neanche lontanamente degno dell'appellativo di "santo padre" perché di santo non ha proprio nulla: è un morto eletto da altri morti come lui e seguirlo pedissequamente significa perseverare nella morte. E’ un cieco che guida altri ciechi. Questa Chiesa non è la Chiesa di Dio: è la Chiesa di Satana, se vogliamo usare l’immaginario classico, formata da persone morte che, invece di sentire i concetti di cui parlano, li ripetono a memoria pari pari a come li hanno imparati. I fedeli fanno lo stesso, perpetuando convinti quella marea informe di distorsioni e credendo che Babbo Natale, un giorno, scenderà dalle nuvole a rimettere tutto a posto e a salvare le loro anime peccaminose.

Vale per tutti i papi, Bergoglio incluso. Sì, è simpatico (sicuramente mooolto più del teutonico Ratzinger), carismatico: sembra perfino una brava persona, telefona a tutti, dice di voler riformare la Chiesa per farla ripartire dai poveri, anche se poi alla prova dei fatti non mi sembra abbia raggiunto chissà quale risultato in questo senso… Ma a me non mi freghi, caro il mio pastore argentino: sei sempre un venditore di fumo e false promesse, esattamente come i tuoi predecessori. Non so, onestamente, se se ne renda conto o ne sia inconsapevole: spero nella seconda opzione, altrimenti sarebbe un biblico bastardo con una bella faccia, un lupaccio cattivo travestito dal più buono degli agnelli. Di sicuro non è una persona viva, ecco, su questo non c’è il minimo dubbio: lo si avverte ogni volta che apre bocca per esporre qualcuno dei classici messaggi tanto cari al popolo degli zombie con la croce al collo, oppure quando lancia uno dei mille “accorati appelli” o “moniti” ai governanti di tutto il mondo in base all’argomento più “cool”, più chiacchierato, più “in” nei locali televisivi e in quelli giornalistici. Morto, morto e ri-morto.

La persona viva è colei che rende vivo tutto ciò con cui entra in contatto, ovvero colei che sente dentro di sé il "messaggio" che quella cosa le sta dando. La stessa identica canzone, ad esempio, o un libro, una parola, una persona o qualsiasi altra cosa non hanno lo stesso significato per tutti: la persona viva è quella che, nel momento presente, interpreta il "messaggio" solamente in base al proprio sentimento e non rifacendosi ad altre interpretazioni o schemi passati e non sentiti interiormente ma solo ripetuti mentalmente. È colei che prende la "lettera morta" e la "rende viva" tramite l'interazione consapevole con essa, così che il significato sia sentito, contemporaneo, spontaneo. E quando parla, è possibile sentire la sua presenza nelle sue parole, sono caricate di una forza invisibile eppure palpabile anche dai profani più profani.

Lazzaro, la "salvezza dell'anima"... dicono niente? Sono tutte immagini create e usate per convogliare questo concetto: la consapevolezza, il sentire interiore, la vita e la morte, Cristo e Satana. Provate a capirli, a comprenderli invece di ripeterli a pappagallo: è tutto di guadagnato.

30 agosto 2014

Libertà, questa sconosciuta - Parte II: sacro e profano

Continuo dal post precedente a parlare di come la parte animale, o biologica, della nostra esperienza sia predominante su di noi e come il sesso, se distortamente inflazionato, possa diventare sempre più una gabbia.

Mi sono accorto di un aspetto inerente il sesso e l’istinto sessuale che non avevo mai notato in precedenza. E’ un po’ il motivo per il quale ci piace così morbosamente abbandonarci alla pulsione animale in millemila modi diversi, adducendo le più becere scuse e giustificazioni col solo fine di provare un breve ma intenso momento di piacere.

Parto con una breve introduzione ai concetti importanti, sui quali mi sono già dilungato taaante volte.

Il discorso parte dal conflitto interiore tra la parte divina e quella animale (mente+corpo), ovvero tra un livello di intelligenza “superiore”, e non figlio di questo mondo, e un livello “inferiore” più prettamente inerente a questo piano vibrazionale. Il livello “inferiore” è quello della natura meccanica, il più visibile, che potremmo chiamare “di sopravvivenza”; quello “superiore” è più nascosto, più vasto, meno prevedibile e perfino apparentemente inesistente. E’ il reame della vita pura, della consapevolezza permeante l’intero universo, il mondo dell’Ineffabile dal quale tutto proviene e al quale tutto torna, il motore insondabile dell’universo che genera e muove l’intera creazione in maniera assolutamente e perfettamente coerente. Lo scontro (siamo sempre in un piano vibrazionale duale) tra queste nostre “due anime” è ciò che ci accompagna costantemente nell’arco delle nostre giornate.

In ogni istante, l’energia neutra dell’universo viene polarizzata nel momento in cui entra in relazione con noi: in base ai nostri stati d’animo, essa prenderà una spirale ascendente (direzione divina) oppure discendente (direzione animale). Quella ascendente porta, alla fine della fiera, allo stato di massima consapevolezza, quello cristico, ai Cieli, al Nirvana e fuori dal samsara e… insomma ci siamo capiti; quello discendente, d’altra parte, rafforza le catene dell’animale e tiene la consapevolezza bloccata a un livello basso, al livello dell’intelligenza di sopravvivenza, degli istinti e dei bisogni del binomio mente/corpo. I vari simboli cosiddetti satanici con la stella che punta verso il basso hanno questo significato: tenere la consapevolezza sopita nei bassi centri, lontana dal sentimento della verità.

Il conflitto tra queste due “nature” interiori genera in ogni istante la possibilità di mandare in cortocircuito l’animale/l’ego/il diavolo, permettendoci così di sentire intimamente una realtà molto più profonda, la vera realtà delle cose. Purtroppo, però, al nostro livello non è per niente semplice fare attecchire ben bene l’incredibile numero di scintille generate dal contatto tra le due polarità, per cui è molto più facile stare con l’animale piuttosto che trascenderlo. E’ la via di minor resistenza. L’animale è di questo mondo, è la natura primaria, è “roba sua” (vi ricordate il diavolo cosa dice a Gesù? “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”). La consapevolezza lotta per comprendere la sua reale natura, in modo da mettergliela in quel posto all’ego e ai suoi amici.

Ed ecco il nodo dell’articolo. Il risultato di entrambe le vie è la pace interiore. L’unica piccola e insignificante differenza è che la via ascendente dona la pace senza spazio nè tempo, quella eterna e infinitamente profonda; la via discendente, invece, porta una pace molto breve e superficiale, oserei dire illusoria e ingannatrice, toh. Ed è proprio questo che ci incanta del sesso: ci dona la pace, appiana il conflitto interiore. L’animale prende definitivamente il sopravvento su di noi, siamo trasfigurati, gli lasciamo il controllo totale “rinnegando” l’altra nostra parte. Se ci pensate, man mano che l’eccitazione sessuale cresce, di pari passo aumenta la nostra stupidità, tanto che basta poco per rendere estremamente complicato perfino calcolare il risultato di 2+2.

Il sesso in senso lato, includendo quindi anche quello fatto da soli, è la via più semplice per interrompere il conflitto e respirare, seppur per un tempo breve, un minimo di tranquillità. Mentre si carica/stimola l’istinto sessuale, di pari passo noi e l’animale ci “sovrapponiamo” sempre di più al punto da farci guidare totalmente o quasi da esso. Che sia una stimolazione fisica volontaria o mentale involontaria, come ad esempio l’esposizione più o meno prolungata a immagini/figure/parole eccetera con riferimenti sessuali, il risultato è quello di allineare la nostra consapevolezza a quella (bassa) dell’animale e la pace che ne deriva crea dipendenza, è molto volatile, temporanea. Una volta “scaricato” l’istinto sessuale ecco tornare il conflitto, le mille possibilità di accendere la fiamma della consapevolezza: ma, normalmente, invece di essere abbastanza svegli da accorgercene (basti pensare che per molti quest’intero discorso non avrebbe nemmeno ragione di esistere), lasciamo che l’energia prenda il percorso di minor resistenza verso l’essere figlio di questo mondo, ovvero l’ego/animale/diavolo, e così facendo andiamo di nuovo alla ricerca della “pace animale”; la ri-otteniamo, il sistema si ri-scarica, l’energia ri-prende il percorso di minor resistenza, ri-ri-otteniamo la pace, il sistema si ri-ri-scarica e via così all’infinito.

Ditemi voi se non è la ruota del criceto.

La vita non è così: si gira nella ruota col solo fine di comprenderla e, quindi, uscirne. La società, invece, rinnega tutto e unisce il mezzo con il fine: il mezzo è la ruota e il fine è ancora la ruota.

Il sesso è meraviglioso, è centrale nell’intero universo in diverse forme e proprio per questo merita di essere compreso un po’ meglio, andando al di là della marea di vaccate e superficialità che si leggono, sentono e vedono in ogni dove. Tra quelli che ne fanno lo scopo della loro vita, quelli che dicono che serve per conoscere il proprio corpo, che è fondamentale in una relazione, che è solo un divertimento, che è lo strumento di Satana, che è la cosa più bella del mondo e chi più ne ha più ne metta, c’è da mettersi le mani nei capelli. Anzi no, è vero: il sesso è la cosa più bella del mondo, ma oltre il mondo c’è una bellezza infinitamente più profonda, roba che il sesso al confronto… ma dai scherziamo?! E’ come paragonare una lampadina da 50 watt con il Sole.

25 agosto 2014

Libertà, questa sconosciuta - Il sesso e la ruota del criceto

Non vi tedierò con una banale introduzione sui mille significati che si possono attribuire alla parola “libertà”, tipo i classici “libertà vuol dire fare il cazzo che si vuole”, oppure “la mia libertà si ferma dove inizia quella degli altri” o chissà quale altra interpretazione. Tutte fregnacce. Lasciate perdere le accezioni politiche, sociali e comportamentali: la libertà è un’altra cosa. Voglio provocarvi, giocare un po’ con voi.

Nessuno di noi è libero: io non sono libero e non lo siete nemmeno voi. Ma non perchè “il governo non mi permette di fare questo questo e quest’altro” o perchè “se agisco così poi la gente si prende male e mi becco valanghe di insulti e accuse”. Fregnacce. No no no: la libertà che ci manca è molto più sottile. Risiede in ciò che riteniamo più normale, naturale, ovvio. Il resto è una conseguenza, un effetto cascata.

Mettiamo una situazione banale da commediola romantica insulsa, uguale ad altri milletrecentonovantadue film, che però frutta sempre qualche milioncino di dollari di incassi. Siete in ufficio. E’ una normale mattinata di maggio, toh, o settembre o quando volete voi. Siete un occhialuto ometto simpatico in mezzo a un po’ di coetanei o giù di lì. E coetanee. Tra queste ultime, una improvvisamente attira la vostra attenzione. Vi eravate già presentati e sommariamente conosciuti, ma questa mattina la vostra bella collega ha un qualcosa in più. Saranno i capelli o la gonna, o forse il trucco un po’ meno accennato: fatto sta che vi attrae più della merda con le mosche (che immagine sublime e poetica!). Ecco che iniziate a fare gli scemi, con lei. Beh: diciamo che siete più scemi del solito. Già prima, comunque, avevate capito che con lei vi trovavate piuttosto bene caratterialmente: vi prendevate bonariamente in giro a vicenda, lei non disdegnava delle risate alle vostre vaccate eccetera. Però adesso, wow, ragazzi… Un rapporto amoroso, magari pure un futuro fidanzamento, non sono opzioni utopiche.

Fino a che arriva un momento, dopo una settimana, un mese, un anno o dieci anni, nel quale ci si rende conto che poi, alla fin fine… tutte queste farfalle nello stomaco… non è che ci siano mai state. Dopo l’inebriamento iniziale pieno di novità e passione, siete stati insieme più che altro perchè… Già: perchè? Siete proprio sicuri fosse amore? Cosa vi ha spinti a stare con lei, a mettervici insieme?
Lo avete deciso liberamente, giusto? Vi siete guardati negli occhi profondamente e amorevolmente e avete visto nello sguardo l’uno dell’altra la volontà di formare una coppia, basata sul reciproco amore incondizionato finchè la morte non vi avesse separati. Cioè dai ragazzi: non esiste nell’universo una scelta più libera di questa!

Sbagliato. La scelta è stata guidata. Non eravate lucidi, nè lei nè tantomeno voi. Vedete, esiste questa cosuccia pulsante chiamata generalmente “istinto animale”, ovvero la spinta naturale alla sopravvivenza/riproduzione che ha, diciamo, favorito la vostra unione. Mettiamoci dentro pure lo stato totalmente alterato del vostro impulso sessuale, bombardato fin dalla tenera età da immagini, parole, credenze, “consigli”, modi di pensare ecc. e cosa otteniamo? A stare larghi, un regime di semi-libertà. Ammettetelo a voi stessi: quella ragazza… sì dai, simpatica era simpatica… ma come lei ce ne sono mille altre, e qualcuna di queste la conoscete pure. Certo, si andava d’accordo, questo è fuor di ogni dubbio: non era solo sesso. Però… però… togliendo la pulsione di strapparle i vestiti con i denti, c’era davvero amore oppure sì… qualcosina, ma più che altro era solo una piacevole compagnia, come ce ne sono tante altre?

E’ inutile negarlo: l’animale è predominante. Non vuole essere una critica bacchettona, nè sottintende alcun giudizio: è la pura realtà delle cose. Qualche esempio? Ricordate “Nymphomaniac”, l’ultimo filmone di Lars Von Trier? Tutti che ne parlavano, un film della madonna del maestro Von Trier, pubblicità, milioni di visualizzazioni del trailer, puritani contro libertini manco fosse antani con scappellamento a sinistra. Un macello assurdo per un po’ di sesso, depressione e violenza. La farfallina di Belen? La tetta di Janet Jackson al Superbowl? L’accavallamento di gambe di Sharon Stone? Uuuuh, si vede o non si vede, tutti al cinema a guardarsi 2 ore di film (‘nammerda, tra l’altro) in trepidante attesa di quei due secondi di visione mistica, come se fosse la salvezza dell’umanità, il Paradiso in terra. 50 sfumature di grigio? Super best seller, compresi i seguiti, dei quali adesso dovremo pure sorbirci le trasposizioni cinematografiche. Miley Cyrus nuda su una palla demolitrice? Laura Pausini e “l’incidente” intimo durante un concerto? Milioni e milioni di visualizzazioni in pochissimo tempo, roba che ancora un po’ neanche Gangnam Style, e il suo commento “ironico” fa capire in pieno quanto cazzo siamo rincoglioniti: “Vabbè, ce l’ho come tutte le altre”. Non volendo, ha perfettamente colpito il centro del bersaglio: di organi sessuali femminili (e maschili) ne abbiamo visti a bizzeffe e, alla fine della fiera, sempre quelli sono. Eppure basta un cretino o una vacca antropomorfa in abiti più che succinti per scatenare il putiferio.

Ditemi voi se questa non è schiavitù. I giornali ne parlano, Internet ne parla, la tv ne parla, gli amici ne parlano e parte il bombardamento ma occhio a fare i moralistoni e dare tutta la colpa al sistema, all’èlite e menate varie perchè loro, sì, spingono su questo… ma a noi piace morbosamente, anche se facciamo i superiori e agli altri diciamo di no. E’ o non è schiavitù?

Sentiamo un bisogno irrefrenabile del mondo esterno per trovare soddisfazione, per colmare quel senso di vuoto che tutti noi abbiamo. Prendiamo una dose e per un po’ stiamo bene, ma passa poco tempo e siamo punto e a capo, in cerca di un’altra dose. E così via. L’animale, nel nostro esempio, ha determinati bisogni da soddisfare, il che non è assolutamente sbagliato. La questione, però, è che noi non sentiamo questi bisogni “lucidamente”, ovvero “con distacco”. Quando parte l’appetito sessuale e monta… monta… monta sempre di più, non abbiamo la capacità di sentirlo chiaramente e, senza reprimerlo nè combatterlo in alcun modo, controllarlo, decidere liberamente se e come sfogarlo. No: ne siamo totalmente sottoposti. Qualcuno, che sia la televisione, la pubblicità, un libro, una canzone, una persona o noi stessi nella nostra testa, schiaccia il bottone rosso con scritto “sesso” e la natura animale, non guidata saggiamente da noi, reagisce meccanicamente come sa.

La natura animale non è sbagliata. Satana, gli Illuminati o vattelapesca: non c’entrano un cazzo, mica l’hanno creata loro. Hanno solo capito come usarla a proprio vantaggio, ma lei di suo ha una sua intelligenza, così come ce l’ha tutto, nell’universo. Ma è un livello di intelligenza “basso”, diciamo, meccanico. Non è stupida: è così come deve essere. Al limite i pirla siamo noi che, invece di guidare, ci facciamo scarrozzare a destra e a manca continuando a girare in tondo. Lo scatto successivo è proprio questo: comprendere intimamente l’animale, diventarne pienamente consapevoli e, in questo modo, trascenderlo. Di fronte al padrone di casa, sarà l’animale stesso a chinare il capo riconoscendone l’autorità. Niente guerre interiori, niente repressione: comprensione, conoscenza.
Vi ricordate quando vi feci l’esempio del tizio che prende una tranvata potente in testa e, quando si risveglia, sembra un’altra persona? Non riconosce più la sua famiglia, ha modi di fare diversi, insomma: sembra veramente un’altra persona? Ecco, è la stessa cosa: la natura biologica ha il sopravvento su di lui. Questa è la vera libertà che ci manca, quella primaria e fondamentale.

Chiamatela “natura biologica” o “animale” o “personalità”. O “ego” o “diavolo”. Finchè non la si capisce intimamente, si è sottoposti alle sue regole e basterà una parola per farvi incazzare, per farvi piangere o scatenarvi la scimmia dell’accoppiamento. Capirla, divenirne pienamente consapevoli, significa uscire dal ciclo, dalla meccanicità e abbracciare l’imprevedibilità, la spontaneità. Significa essere ciò che si è.

Ma non vi siete bellamente rotti il cazzo di subire sempre passivamente lo stesso, identico condizionamento istintuale ancora e ancora e ancora e ancora… e ancora e ancora e ancora, e di ritrovarvi vostro malgrado a seguirlo ancora e ancora e ancora, assuefatti e vogliosi di un piacere temporaneo per poi ricominciare ancora e ancora e ancora tutto da capo? E di nuovo da capo, e di nuovo e di nuovo e di nuovo. Non avete un sano fuoco di libertà? E’ da quando siete nati che continuate a girare nella ruota del criceto. Quanti anni sono, 20? 30? 50? Ruota del criceto che tra l’altro ha come minimo qualche migliaia di anni. Non è ancora chiaro che il mondo non vi può dare la libertà, ma che ve la dovete trovare voi da un’altra parte?

O credete davvero di essere semplici animali biologici senza senso?