10 gennaio 2014

Il titolo è semplice: “consapevolezza”. Le implicazioni sono milioni…

L’articolo di oggi è lunghetto ma non ho dubbi nel definirlo come il più importante tra tutti quelli che ho scritto fino ad ora. Esticazzi, direi…

Partiamo parlando di un aspetto sul quale ho insistito parecchio tra le righe di diversi post, ovvero quello della differenza tra la realtà e la sua rappresentazione. Ad esempio, prendiamo Dio: è un concetto, un modo di rappresentazione della realtà, ma non è propriamente LA realtà. E’ un modo per raffigurare un qualcosa di infinito attraverso un mezzo finito, cioè la mente. Nel momento stesso in cui pensiamo una parola, stiamo automaticamente escludendo le alternative, tra le quali il suo opposto (siamo sempre in un mondo duale), per cui risulta evidente l’impossibilità di definire in maniera perfetta qualcosa che definibile non è. Si può definire ciò che non è finito? No, assolutamente no. Il massimo che possiamo fare è un’approssimazione: possiamo provare a descriverlo in una qualche maniera, a raffigurarlo sotto diverse spoglie per tentare di veicolare un messaggio oltre le semplici parole e figure. L’interazione tra il messaggio veicolato tramite parole/suoni/immagini eccetera e noi genera una tensione, un contrasto, un attrito che ha l’intrinseca potenzialità di scatenare una reazione straordinaria che ci porti fuori dal dualismo. Questa interazione si chiama “arte”. E’ quel momento in cui si viene sopraffatti da un’impensabile bellezza; l’attimo in cui la mente non trova più parole e ciò che rimane è il tutto incondizionato.

L’intera esperienza qui, in questo piano esistenziale, è composta di singoli istanti potenzialmente artistici. Ogni momento è la composizione di due poli opposti: positivo-negativo, interno-esterno, io-altri, io-pensieri eccetera. L’interazione tra soggetto e oggetto porta con sè la possibilità di generare un salto di consapevolezza in noi. Può essere un semplice pensiero, un quadro, una canzone, un volto, o un fatto a cui stiamo assistendo: letteralmente ogni singolo avvenimento col quale entriamo in relazione può, potenzialmente, provocare una presa di consapevolezza più o meno grande in merito a qualche aspetto della realtà (o della realtà tutta). Ogni relazione “nasce” dalla consapevolezza, compie la sua parabola (lungo o breve a seconda dei casi) esistenziale portando con sè intrinsecamente consapevolezza, e “muore” nella consapevolezza. Ognuno di noi genera una relazione, sempre, continuamente. Questo livello di esperienza è dualistico, per cui tutto esiste in relazione con tutto il resto in qualche modo. E tutto ha un’origine che è perfettamente identica alla fine: consapevolezza. Tutto esiste per generare una tensione, un contatto, col solo ed unico fine di portare consapevolezza.

Il rischio che si corre (e del quale si può, e in un certo senso si deve, diventare consapevoli) è quello di attaccarsi alla manifestazione materiale (il mezzo) e sminuire il fine. La meditazione, ad esempio, non è il fine: non si dovrebbe dire “cià, faccio meditazione per il gusto di fare meditazione e non avere rompimenti di cazzo in giro per un po’”. La meditazione è un mezzo, uno strumento attraverso il quale (ed ecco il fine) si può giungere ad un aumento di consapevolezza. Questo è il solo scopo per il quale esiste la meditazione. Ma molto più banalmente: un pensiero. Perchè sorge un pensiero? A cosa serve? A generare un’interazione con te in modo tale da creare un piccolo big bang di consapevolezza. Consapevolezza di cosa? Boh! Di qualunque cosa. Ma chi se ne importa, tra l’altro: lo si scopre solo in quel preciso momento, quando di colpo, non sai come e non sai da dove, senti intimamente di aver capito qualcosa senza nessuna ombra di dubbio. Allora, e solo allora, riesci a “vedere oltre” il singolo pensiero, il suo contenuto, e capisci il messaggio “nascosto”. E’ solo in quel momento che ti stacchi dal materiale, lo trascendi, voli fuori dal dualismo, anche solo per una frazione di secondo.

Peccato che, il più delle volte, rimaniamo attaccati al contenuto materiale della cosa e non vediamo il significato più profondo. L’esempio di Gesù è clamoroso: l’interpretazione classica è incollata col super attak al corpo di Gesù, alla materia, ossessionata se sia esistito davvero o no, dove abbia predicato e altre menate inutili. Nel frattempo il messaggio viene o ignorato bellamente o distorto all’inverosimile, sempre perchè gli interpreti sono guidati dal lato materiale della realtà. Tra l’altro, piccola parentesi: questo è il motivo per cui nell’Islam non si raffigura mai Maometto: proprio per evitare, o comunque ridurre, il rischio di attaccarsi all’immagine materiale, alla rappresentazione fisica di princìpi troppo “alti” per essere spiegati in maniera esaustiva con le parole, e finire col dimenticarsi il significato vero, profondo. Poi lasciamo perdere come è andata a finire, che è un’altra faccenda, ma il motivo primario era questo.

Comunque sia, la realtà è una cosa; la sua rappresentazione un’altra. Per questo tante volte nei miei post ho scritto robe tipo “non attaccatevi alle parole e alle immagini”: così facendo perdereste di vista la relazione tra quelle parole e voi, per cui ignorereste l’esplosiva potenzialità inscritta nella relazione stessa. Quello che scrivo sul blog non è la realtà vera e propria: quella ve la dovete provare voi intimamente, non c’è niente da fare. I miei sono tentativi di rappresentare al meglio ciò che a me appare, ed è apparso come reale, ciò che sento e che ho sentito come reale. Ma sono solo immagini, raffigurazioni, parole, non sono LA realtà vera e propria. La speranza è che, leggendole, queste parole, entrando in contatto con voi, vi smuovano dentro qualcosa e che diventiate più consapevoli, anche solo di un minuscolo aspetto di voi e della realtà. L’arte è nella relazione, non nell’oggetto. “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”, in sostanza.

Vi faccio 3 esempi di figure molto famose, rappresentazioni materiali di parti immateriali di realtà, così magari la differenza tra “realtà” e “rappresentazione della realtà” risulta più chiara.

1) i vampiri. Chi sono lo sappiamo tutti, ma analizziamo un attimino meglio i vari aspetti caratterizzanti. I vampiri hanno una forte repellenza alla luce del Sole, per cui vivono solo di notte (almeno, per i vecchi vampiri “originali” era così); sono non-morti; succhiano il sangue delle loro vittime; la loro immagine non viene riflessa negli specchi. Perchè? Vedete quanto siamo stati rincoglioniti? Non ci chiediamo più i perchè delle cose, siamo dei disillusi del cazzo che prendono le spiegazioni degli altri come oro colato. Cosa mi stanno a simboleggiare il Sole, la notte, il succhiare il sangue, il non-morto, l’immagine negli specchi? Il Sole è la consapevolezza, e quindi la notte è la mancanza di consapevolezza; il vampiro vive solo quando manca consapevolezza, mentre brucia quando questa emerge, o sorge; il vampiro si nutre della vita altrui e trasforma le sue vittime in vampiri a loro volta; non si riflette negli specchi perchè non ha consapevolezza di sè, non riesce a vedere sè stesso, non può farlo. E non è nè vivo (leggi “pienamente consapevole”), nè morto: è un non-morto, una via di mezzo, condannato a vagare guidato solo dall’istinto di sopravvivenza. Il vampiro siamo noi: siamo noi quando viviamo senza consapevolezza della vita e di noi, ci attacchiamo agli altri come sanguisughe e trasformiamo in vampiri pure loro. E’ una rappresentazione materiale di un aspetto “etereo” della condizione umana, di una possibilità di esistenza fornita dalla realtà. Siamo noi effettivamente, fisicamente, dei vampiri? Chiaramente no. Simbolicamente, invece? Già di più. Ecco la differenza tra un certo aspetto effettivo della realtà e la sua rappresentazione.

2) i licantropi. Anche qui abbiamo l’elemento della notte come simbolo della mancanza di consapevolezza, ma in più c’è la luna piena. Una persona diventa un mezzo lupo feroce e incazzoso solo nelle notti di luna piena. Perchè? Per quale assurdo motivo?! La luna, come ben sappiamo, influenza pesantemente la Terra per diverse ragioni, delle quali la più evidente e conosciuta è quella delle maree. Luna e acqua sono molto collegate. Man mano che la luna passa da nuova a piena, aumenta la sua influenza sulle nostre “acque”, sulla nostra energia (e non dimentichiamoci che anche a un livello più fisico siamo comunque composti per il 70 e rotti percento di acqua, se non di più). Smuove sempre più energia nel corpo, e dove va questa energia impazzita? Trovandoci in mancanza del Sole, lo sfogo è il canale animale, quello più “basso”, il percorso di minore resistenza e si manifesta in una più facile tendenza ad arrabbiarsi, a scaldarsi per cose che normalmente ci lascerebbero più quieti. Quando ho sentito questa cosa per la prima volta, non so… era strana, non l’avevo mai notato, ma aveva un senso logico e poi col tempo ho imparato a farci caso. Effettivamente nei giorni della luna piena e dintorni ho notato una maggiore propensione alle incazzature, al nervosismo, allo sfogo irruento, anche delle persone che ho attorno e che ignorano completamente questa faccenda. Provate a farci caso anche voi. Il lupo mannaro è una raffigurazione di questo aspetto reale “etereo”: è l’estremizzazione, ovviamente, di una persona incazzata per niente, non consapevole (manca il Sole) e dunque non in grado di gestire sapientemente un flusso più potente di energia in movimento. La persona che diventa un animale feroce per via della mancanza di consapevolezza.

3) per finire, gli zombie. Dopo quello che ho appena scritto direi che c’è poco da aggiungere. Siamo in una situazione simile a quella dei vampiri: una persona viva si ritrova infettata in qualche modo e diventa non-morta, costretta a vagare completamente rincoglionita senza una meta, guidata nemmeno da istinti di sopravvivenza quanto dall’insana tendenza di diffondere l’epidemia, ubbidendo in un certo senso alla “volontà” di un altro “essere”, del virus o quel che è. Di nuovo: siamo noi fisicamente degli zombie emaciati, sporchi e puzzolenti? No, ma lo zombie è un modo per rappresentare visivamente un possibile stato della condizione di esistenza di ognuno di noi.

Ecco la differenza tra un aspetto effettivo della realtà e una sua rappresentazione. Per cui quando leggete su questo blog, ad esempio, i vari post nei quali parlo di Dio, Satana, l’infinito, noi, il Paradiso eccetera, quelle parole, quelle immagini, quei concetti sono semplici rappresentazioni mentali di cose per la mente incomprensibili. Sono approssimazioni derivate dal mio sentire, filtrate dalle immagini mentali a me più consone e per questo motivo, se voi vi attaccate alle parole, inevitabilmente 1) le capirete in modo diverso perchè voi avete un “vocabolario” mentale diverso dal mio e 2) crederete di avere capito il significato di quei concetti, quando in realtà avrete solo assimilato immagini sulle quali poi lavorerete di semplice immaginazione mentale.

Vale per tutto, questo: cambiare un po’ lo sguardo e rendersi finalmente conto che nella realtà ci siamo anche noi, qualsiasi cosa siamo (e non lo sappiamo cosa siamo: crediamo di saperlo). Quindi ogni evento, dal più semplice pensiero in su, in ogni singolo istante, è un qualcosa che entra in relazione con noi: lo scontro, la tensione generata dalle due polarità genera la possibilità di espandere la consapevolezza e l’espansione di consapevolezza è il solo ed unico motivo per cui esiste l’intero creato. L’intero universo è esso stesso un mezzo, un qualcosa “nato” dalla consapevolezza, che sta vivendo la sua parabola esistenziale al servizio della causa di generare consapevolezza tramite l’attrito generato dal dualismo, e che “morirà” una volta esaurito il suo scopo. Vediamo un po’ come rappresentarlo. Prendete due cavi elettrici collegati uno al polo positivo di una batteria e l’altro a quello negativo. Scoprite le due estremità dei cavi e portatele a contatto una con l’altra. Cosa si genera? Una scintilla. Ecco, una cosa simile accade ogni singolo istante: le due polarità (soggetto o “osservatore” e oggetto o “osservato”) entrano in contatto in modo da generare una scintilla di consapevolezza. Quando la circostanza (immagini, suoni, percezioni fisiche, mentali, emotive, spaziali eccetera) è quella giusta, i vari componenti situazionali si compongono perfettamente e il risultato è che la scintilla accende un fuoco, oppure, tramite un’altra rappresentazione, il sistema va in corto e le due polarità collassano. Quello che rimane è l’effettiva consapevolezza della realtà, quella roba lì che cerco di raffigurare in modi diversi.

Rendersi conto (leggi “diventare consapevoli”) che non c’è solo il mondo esterno e non ci siamo solo noi, ma che tra i due c’è un contatto, una relazione, è il primo passo per comprendere (ovvero “capire intimamente) di più i vari aspetti della realtà. E’ l’unione degli opposti, in pratica, oppure il “trascendere il dualismo”. La manifestazione fisica di questi princìpi più “sottili” è sotto i nostri occhi tutti i giorni, porcaccia di quella miseria. Prendete il sesso. Come si fa a concepire una nuova vita? I due opposti maschile e femminile, raffigurati fisicamente dall’uomo e dalla donna, si uniscono, generano una relazione, un contatto, e bam! I poli si fondono e nasce un qualcosa di nuovo. Ed è davvero nuovo, nel senso: non si tratta di una semplice somma degli attributi di papà e mamma, ma è questa con l’aggiunta di una nuova unicità specifica. Non è la semplice somma delle parti e questa è una “lezione” di un’importanza mostruosa, perchè significa che l’intero, il Totale, è dato dalla somma delle singole parti più un qualcosa di nuovo, di precedentemente inesistente. Che significa? Che le eccezioni, ovvero le singolarità, ovvero i miracoli, esistono e quindi le cosiddette “leggi” o “regole” sono completamente relative e può capitare che vengano infrante.

Le leggi fisiche eccetera (e facciamo finta di conoscere tutte quelle esistenti in questo universo, ok?) sono dei limiti necessari per poter generare l’esperienza. Vediamo di rappresentare ‘sta cosa. Prendiamo il nocciolo più assoluto dell’esistenza, il punto zero, quello più intrinseco della realtà, il più interiore degli interiori, da cui tutto origina; quello fuori qualsiasi tipo di limite temporale, spaziale eccetera; un po’ come fu il Big Bang (un’es-plosione, ovvero dall’interno all’esterno). Chiamiamolo “Dio”, per comodità. Da questo punto esce una vibrazione, inizialmente altissima o velocissima: qui si crea il primo grande limite, ovvero la divisione primaria dell’unità in due “entità separate”. L’Uno diventa Due. Mano a mano la vibrazione diventa sempre più bassa, o lenta, e i limiti aumentano, diventano più tangibili. Sempre di più siamo “lontani da Dio” e la realtà diventa densa, materiale, fisica. Il mondo del quale facciamo esperienza è un semplice range di frequenze, minuscolo se paragonato allo spettro totale dell’esistenza (e questo è scientifico, non lo dico io). Questo range ha dei suoi specifici limiti, o leggi, in aggiunta a quelli ereditati dai vari range di frequenza superiori, o più “vicini” a “Dio”. Potremmo dire che queste leggi servano il proposito di fornire una struttura minima “automatica” per far vivere l’universo in un dato range di frequenza. Dato, però, che le frequenze hanno tutte una sola ed unica origine, la quale le rende possibili (le crea), significa che questa origine “Dio” può fare in sostanza quel cazzo che gli pare. Tanto è “lui” a creare tutto, quindi le conosce come le sue tasche e, se “Dio vuole/decide” di generare un evento che anche solo per un istante rompa le regole, le regole verranno infrante e l’evento si verificherà. L’impulso generato dal punto zero viene giù dritto per dritto nel nostro mondo, in barba a qualsiasi tipo di legge fisica/chimica/biologica/matematica eccetera qui presente. E’ la scintilla di cui parlavo prima con l’esempio della batteria. E’ quella cosa che permette al motore di partire. Ecco l’eccezione che conferma la regola. Ma se una regola non vale sempre, per tutti i casi, allora non è proprio una regola/legge ferrea, deterministica, inviolabile: diciamo che, tendenzialmente, è solo più probabile che le cose vadano in un certo modo piuttosto che in un altro, ecco.

Cioè, ragazzi, le diverse manifestazioni fisiche attorno a noi non sono lì per caso: sono rappresentazioni, idonee con questo mondo, dei princìpi più “alti” e insondabili. Il dualismo come lo viviamo qui è il modo col quale la “separazione” primaria si manifesta a questo livello vibratorio. Ma è una manifestazione della realtà, non è la realtà vera e propria: se potessimo per un attimo abbandonare il nostro corpo e la nostra mente, ovvero gli strumenti necessari per fare esperienza di questo livello di realtà, ed entrassimo in un altro corpo e un’altra mente, ovvero in un altro range di frequenza, troveremmo una manifestazione effettiva della separazione primaria diversa da quella presente qui da noi. Quello che cambia è la manifestazione, non il principio.

Ma, cazzo, il dualismo perchè c’è? Nel corso degli ultimi anni ho letto di tutto. Poi piano piano la frequenza delle letture chiamiamole “spirituali” è diminuita, è arrivata la prima delle due “aperture delle porte del Paradiso”, della quale ho più e più volte parlato, e ora gli articoli o video interessanti, quelli che generano una relazione/tensione maggiore, sono abbastanza pochi. Per dire, un video “stimolante” è stato il servizio di Superquark di cui ho scritto nell’ultimo post… Ma riguardando indietro ho veramente dato corda alla qualunque. Ad esempio, c’era un tizio su un blog, CosmicYoga, ora chiuso fermamente convinto che la mente è il nostro peggior nemico! Ma stiamo scherzando?! Mi piaceva, quel blog: anche se molte delle cose scritte erano piuttosto fantasiose e altre, per me, erano vere e proprie vaccate, forniva comunque qualche spunto interessante e soprattutto apprezzavo la grande spontaneità e sincerità del gestore. Erano qualità percepibili tra le righe. Proprio perchè mi piaceva, gli avevo anche scritto un commento a uno dei post sulla mente-nemica-mortale, provando a spiegargli che non è proprio così, che la mente è solo uno strumento, un mezzo, e non è lì per farti un dispetto a te: mi aveva risposto cortesemente, sostenendo sempre la sua linea e chiosando con una frase del tipo “te ne accorgerai anche tu con il tempo”. E’ passato un anno abbondante e, sulla base della mia esperienza personale, tutto l’enorme filone del discorso relativo alla mente come nostra nemica da abbattere è una cagata allucinante. O meglio: è vero che la mente non vede la realtà effettiva delle cose perchè uno strumento finito non può capire l’infinito blablabla, ma non ce la fa perchè non è quello il suo scopo, non è stata disegnata per quel motivo. Come è anche vero che si corre il rischio di rimanere invischiati nell’identificazione con pensieri, convinzioni ecc., ma mica è “colpa” della mente se ci si convince di essere una merda o Superman e se si crede a Babbo Natale e alla Fata Turchina.

La mente è un mezzo: la nostra interazione con essa genera tensione e, osservando questa tensione, possiamo comprendere il suo funzionamento. Non è un caso se la mente è fatta così, se lavora basandosi sul dualismo e di sicuro non è sbagliato il fatto che funzioni così. C’è un motivo, un fine, ed è esattamente lo stesso fine di tutto il resto della realtà. Tutto ciò che esiste e col quale entriamo in relazione è uno strumento, un mezzo, e ha uno e un solo scopo, sempre: CONSAPEVOLEZZA. Stampatevelo a fuoco nel cervello. Gli eventi che entrano in relazione con te, da un semplice pensiero a una persona, da un’emozione a un disastro, lo fanno per portarti consapevolezza. Tu, poi, entri a tua volta in relazione col mondo, con altre persone, e l’unico motivo per cui ciò accade è perchè, tramite la relazione tra te e quelle persone, esse ottengano consapevolezza. Punto. Una volta lessi un pezzo tipo racconto zen che faceva così:

Una storia racconta di un discepolo che è andato dal suo maestro e gli ha domandato: “Mi puoi dire una parola di saggezza? Mi puoi suggerire qualcosa che mi guidi per tutta la vita?”.
Era la giornata del silenzio di quel maestro, e così egli prese un foglio, e scrisse: “Consapevolezza”.
Quando il discepolo vide la parola, disse: “E’ troppo sintetico. Non puoi ampliarlo un po’?”.
Il maestro prese il foglio e scrisse: “Consapevolezza, consapevolezza, consapevolezza”.
Il discepolo replicò: “Va bene, ma cosa significa?”.
Il maestro riprese il foglio e scrisse: “Consapevolezza, consapevolezza, consapevolezza significa… consapevolezza”.

Cazzo se ha ragione, il maestro…

Quello che facciamo noi è questo: leggiamo o ascoltiamo determinati concetti relativi, per stare in tema, all’illuminazione. Concetti tipo “osservazione”, “lasciare andare”, “Dio”, “Uno”, “pace”, “libertà” e chi più ne ha più ne metta. Ok, perfetto. Ognuno di noi interpreta questi concetti a modo suo, tramite il suo “vocabolario” mentale, i suoi schemi e le sue convinzioni. Da questa interpretazione totalmente arbitraria nascono le nostre immagini personali di quei concetti. Dopodichè, ed è qui la gabola, ci attacchiamo ossessivamente a queste immagini campate totalmente per aria e ci convinciamo di avere capito tutto. Non solo. Entrano in gioco le emozioni e il giudizio: per cui siccome è sempre presente quel senso di inadeguatezza in noi (e meno male che c’è, tra l’altro), unito alla frustrazione di non essere ciò che vorremmo essere, consideriamo “sbagliato” lo stato attuale delle cose e ci danniamo l’anima per tendere verso tutte quelle belle robe di cui abbiamo letto e delle quali abbiamo costruito dal nulla delle immagini mentali arbitrarie. Quindi, se per esempio leggiamo che il dualismo è un’illusione (prima immagine mentale arbitraria); che la separazione non esiste e che la realtà è Uno (seconda, abnorme, immagine mentale arbitraria); che con l’illuminazione si trova la pace (terza immagine mentale arbitraria); che l’unica verità è l’amore incondizionato (quarta immagine mentale arbitraria) allora, siccome questo stato dell’essere è per noi molto appetibile e giusto, proveremo a forzare costantemente i nostri pensieri e i nostri comportamenti per adattarli a quel modello mentale lì, basato sul nulla. Costruiamo un castello di carte sulla punta di uno spillo.  Per cui, per esempio quando ci arrabbiamo, tac! scatta il meccanismo: “Azz, sono arrabbiato. Non devo esserlo, se voglio raggiungere la pace. Ok, allora adesso mi metto qua e osservo la rabbia. Non devo identificarmici nè devo fuggirla: è così che funziona nell’illuminazione, lo dicono sia Tizio che Caio”.

Forziamo le cose basandoci, sostanzialmente, sulla nostra immaginazione invece che su un sentimento interiore, intimo. Invece che sulla consapevolezza, in pratica. Ecco cos’è “il falso Dio”, “l’Ingannatore”. Non comprendiamo davvero i concetti; non sentiamo la relazione che si genera tra noi e, ad esempio, un pensiero. Cosa sta cercando di dirmi quel particolare pensiero? Perchè è qui? Di cosa vuole rendermi consapevole? Ci concentriamo sempre sul contenuto, sulla manifestazione effettiva di quel momento, senza vedere il motivo, il principio dal quale quella manifestazione origina. Un pensiero “cattivo” non è la “malattia”: è un sintomo. Se si continua a scacciare un pensiero arbitrariamente considerato “sbagliato” e ci si convince che così facendo si stia andando nella “giusta” direzione per arrivare all’illuminazione, è come se si stesse curando la febbre senza debellare il virus: al momento la febbre sparisce, ma dopo un po’ torna. Si capisce? La febbre è un sintomo, una manifestazione di una malattia: ma la manifestazione non è la malattia.

Possiamo dire che esiste una e una sola “malattia” della quale siamo tutti “infetti”: l’inconsapevolezza. La rabbia, la paura, l’identificazione eccetera eccetera sono i sintomi di questa “malattia”. A cosa cazzo serve curare i sintomi?! Che poi, come ho detto poco fa, neanche li curiamo perchè la nostra idea di “cura” è… nostra, cioè totalmente arbitraria, campata per aria. I sintomi non vanno curati: vanno compresi. Ti fanno stare male, è vero, ma l’unico e il solo scopo per cui accade ciò è portarti consapevolezza. Ti fanno stare male non per farti stare male e stop, anzi. Analogamente possiamo dire: la febbre viene con lo scopo di farti stare male? Assolutamente no: viene per farti capire, per renderti consapevole che qualcosa nel tuo corpo non sta andando per il meglio. E’ una spia, un allarme.

Ma come possiamo capire il motivo per cui in un determinato momento emerge la rabbia? Tramite la relazione, la tensione che si genera tra voi e la manifestazione effettiva della rabbia. Ecco la funzione del dualismo e della mente dualistica. Non è lì per imprigionarci. E’ vero: la mente limita enormemente la percezione della realtà, tanto che siamo consapevoli solo di una frazione dello spettro vibrazionale intero, come detto prima. Ma non significa che sia una trappola, il nostro più grande nemico o altre puttanate simili: è lo strumento tramite il quale vivere qui, su questo piano, nel migliore dei modi. Ed è il mezzo grazie al quale possiamo comprendere l’unità delle cose e “tornare” all’Uno. Come? Unendo gli opposti. Come? Osservando le relazioni e le tensioni da esse generate, ovvero non focalizzandosi solo ed esclusivamente sull’evento effettivo, cioè sulla manifestazione, ma sentendo cosa questa manifestazione vuole farci capire, qual è il suo messaggio “nascosto”, chi o cosa è il “mandante”. E’ tutto qua. E’ inutile provare a forzare uno stato dell’essere: bisogna solo capire ciò che già c’è e lo “scatto” di consapevolezza arriva di suo. Solo in questo preciso momento si capisce istantaneamente un qualcosa e si riconosce come l’idea precedente in merito a questo qualcosa fosse solo un’immagine mentale, magari distorta, e niente più.

E’ inutile sforzarsi per dire “ah, ho capito tutto e adesso sono oltre il dualismo” se non si sa cosa questo significhi. Non continuate a legare la vostra esistenza felice a un ipotetico stato di pace assoluta, per cui vi dannate l’anima per cercare di ricrearlo sulla base del nulla, solo perchè lo avete letto da qualche parte. E’ impossibile fare esperienza di quella roba lì con la mente. E’ inutile che ci proviate, è stato disegnato così di proposito non per ingannarvi ma per farvi capire. Non serve comportarsi come se quella roba lì la faceste voi. La consapevolezza non è un qualcosa che si fa: è già presente in quantità perfetta, va solo vissuta. Guardate ciò che è già qui, ciò che siete in questo momento: divisi, in conflitto, infelici, in cerca di approvazione, egoisti o che ne so io. E’ perfetto, non è un caso se siete così. Osservate le tensioni tra voi e l’evento, cercate di andare oltre il contenuto del momento (la manifestazione) in modo tale da capire davvero come quell’evento estemporaneo può aiutarvi, per quale motivo la consapevolezza si è “travestita” in questa maniera. Quando arriva il momento giusto, di colpo vi rendete conto di qualcosa e istantaneamente comprendete la ragione di quell’evento e di tanti altri prima di esso, tutti espressione dello stesso problema di fondo, diversi nella manifestazione ma espressioni dello stesso “ciclo di consapevolezza”.

E’ il karma, eh. Cicli più piccoli dentro cicli più grandi dentro cicli più grandi. Il massimo possibile è la consapevolezza del tutto; dentro questo super-ciclo ce ne sono un’infinità sempre più piccoli, riguardanti aspetti sempre più semplici della realtà tutta. Nell’attimo in cui, tramite l’uso della mente per osservare le tensioni generate tra voi e l’evento qualsiasi esso sia, si crea la scintilla, quello è il momento esatto nel quale si chiude un ciclo: dovevate diventare consapevoli (anche) di quella specifica cosa lì e ora lo siete. “Aaaaah! Ho capito! Ecco perchè quella volta accadde quello! E quell’altra volta c’era quel tizio là che mi ha detto quelle parole! Faceva parte dello stesso ciclo”. Non è solo la ruota delle reincarnazioni: se vogliamo usare la rappresentazione chiamata “karma” (che è una RAPPRESENTAZIONE per la mente di un aspetto insondabile della realtà), le ruote karmiche sono in azione in questo preciso momento a decine o centinaia o migliaia o fantastiliardi. Sono simili agli ingranaggi di un orologio, per intenderci: c’è un ciclo più grande che è quello della tua esistenza qui, il quale, per funzionare, ha bisogno del lavoro di una miriade di altri cicli minori, alcuni minuscoli, e tutti si incastrano con una perfezione che la mente non può comprendere. Anche l’essere frustrati o il sentirsi una merda fanno parte dei cicli e, lo ripeto per l’ennesima volta, svolgono una e una sola funzione: portare consapevolezza. E’ fantastico, non so se riesco a farvelo vedere. Tutto ciò che entra in relazione con voi, e con “tutto” intendo proprio “tutto”, è al vostro miglior servizio: “nasce” dalla consapevolezza, compie il suo ciclo e “muore” nella consapevolezza. Voi fate lo stesso a vostra volta con gli altri. Quello che cambia continuamente è il “come”, non il “perchè”. Nel caso più grande, arriverà il momento in cui “lascerete andare” il mondo intero nel quale viviamo, non sarete più suoi “schiavi”, ovvero non sottostarete più ai suoi cicli: siete diventati consapevoli, il mondo ha svolto il suo compito e ora, da gran signore e maestro, “si fa da parte”.

Il mondo è qui per essere “lasciato andare”, se capite cosa intendo. Va beh dai, direi che al momento più di così non posso fare. Spero che queste parole, entrando in contrasto con voi, vi smuovano un po’ di roba dentro e generino la scintilla giusta. E’ il massimo che ognuno di noi può fare. La Verità, con la “V” maiuscola, non è un cibo che la mente possa masticare.

1 commento:

Mattia ha detto...

Il 14 gennaio un anonimo mi ha scritto un commento e io ho involontariamente cliccato su "elimina" anziché su "pubblica". Mi scuso per la vaccata :)

Il commento era questo:

"Raramente ho avuto il piacere di leggere un'analisi così chiara e dettagliata della "realtà".
Grazie Mattia!"

Grazie a te, misterioso Anonimo.