28 aprile 2014

L’uomo nel mezzo - parte I

Oggi provo a insinuarmi ancora di più nell’antro intricato delle contraddizioni spirituali, delle ipocrisie religiose e del “rumore” imperante in ogni dove su questi temi. Provo a farvi vedere come siamo praticamente tutti in “errore” nel nostro rapporto con il divino, riversando sempre su di “lui” la colpa per i nostri peccati. “Divino” inteso come principio perfetto comune all’universo nella sua totalità, non come omino sulle nuvole. “Peccato” inteso come “mancare il bersaglio”. “Bersaglio” inteso come “realizzazione personale” (non è proprio corretto, come vedremo). Se si riesce a capire il discorso, siamo a posto. Ci provo.

Prima, però, devo mettere bene in chiaro l’assunto di base valido in qualunque settore e sottofondo di qualsiasi discussione: l’assoluto e il relativo, ovvero l’uno e il due o dualismo. L’ho scritto anche poco tempo fa ma è giusto riscriverlo qui. L’assoluto è… l’assoluto. Uno, infinito, eterno, onnipresente e chi più ne ha più ne metta. In questi termini, Dio è nella sua vera forma più totale, chiamiamola “macro”, completa, illimitata. E’ ovunque in ogni tempo. E’ qualsiasi cosa, letteralmente qualsiasi cosa e qualunque essere vivente, letteralmente qualunque essere vivente in ogni possibile manifestazione. E’ l’esistenza tutta, l’intero spettro di frequenze e tutto ciò che vi è dentro. Non sforzatevi troppo di immaginarlo: è impossibile, la mente nun ja fà. Questo è l’assoluto. Tutto proviene da qui e tutto ha il fine di tornarci.

Nel mentre, questo tutto assoluto vive il relativo. L’uno si scinde e diventa due. E’ il dualismo. E’ l’esistenza per come la percepiamo ora. E’ l’universo in cui viviamo, nel quale c’è un polo positivo e uno negativo, un interno e un esterno, un “io” e un “altri”. E’ il confronto, la relazione tra due entità, il contatto, la frizione, il conflitto. E’ il divino e il non divino, l’essere opposto al non essere, il regno della distinzione. Per cui, nel relativo vi è una parte che è Dio e una che non lo è. Una parte Perfetta, con la P maiuscola, e una no. Ma tutta la manifestazione relativa è comunque “figlia” di quella assoluta. Per cui il Dio “macro” è sempre in ogni dove in ogni tempo eccetera.

Quindi, in assoluto è tutto perfetto. E’ praticamente impossibile parlare dell’assoluto e, anche se fosse, non è ciò che stiamo percependo ora. Per cui il discorso sarà necessariamente relativo… al relativo, al mondo dualistico. Tenetene comunque conto: tutto è assolutamente perfetto. Quando parlerò di “uomo”, “Dio”, “perfezione”, “bene”, “male” eccetera sarà tutto dentro il relativo.

Vi ricordate quando vi dicevo di non cercare Satana chissà dove perchè Satana, in questo preciso momento, siamo proprio noi? Perfetto, ora provo a spingere il discorso un po’ più in profondità e, se mi riesce bene, alla fine ci sarà un’inversione di prospettiva. Vediamo se ci riesco. L’esperienza che viviamo ogni giorno è quella del relativo, non dell’assoluto, ed è a questa che dobbiamo rifarci proprio per “tornare” all’assoluto (congiungere gli opposti). Per cui siamo in una realtà nella quale vi è uno stato dell’essere più elevato, la completa Perfezione, quello della più alta consapevolezza possibile, quello della consapevolezza sull’assoluto: e uno stato più basso, di maggiore Imperfezione, più caotico, quello meno consapevole. Qualcuno in passato li ha chiamati “divino” e “umano”, “Dio” e “uomo” inteso come “animale”. Fantastico, è un’ottima distinzione per aiutare la mente a capire.

Ovviamente, che ve lo dico a fa?, ognuno di noi normalmente si ritrova nel secondo stato dell’essere, quello più basso, poco consapevole, più animale, più caotico e rumoroso, alla mercè del mondo. A un certo punto in un modo o nell’altro, e di modi ce ne sono a milioni, si viene a sapere che probabilmente questo stato basso non è l’unico possibile: ce n’è uno più alto, più perfetto, al quale ognuno può tendere e aspirare. A meno che non si rimanga invischiati in quei tizi, quelli che rispondono a un uomo vestito di bianco con la mitra in testa. In questo caso, lo stato alto te lo scordi: prima crepa, poi se ti va bene ci arrivi, se no ti pigli un bel forcone in quel posto per i secoli dei secoli. Amen.  Noi siamo normalmente inconsapevoli di questo stato e non lo percepiamo. Ma non significa che non esista.

Tra le diverse pratiche per raggiungere lo scopo, ne prendo una a titolo d’esempio ma il discorso vale analogamente per le altre. Prendo la preghiera, intesa non come parole ripetute a pappagallo, ma come parole utili a generare nel cuore un sentimento di pace e di amore. Che poi è questo a fare il lavoro, non le parole in loro. Qual è l’atteggiamento, quando preghiamo? Qual è l’immagine di fondo? Quando preghiamo, chiediamo a Dio, alla realtà o come volete, di darci qualcosa. Tralasciando i soldi, la macchina nuova o la bella strappona, alla fin fine chiediamo di poter vivere la percezione dello stato alto, in modo da ricondurci all’assoluto. Sentiamo un senso di vuoto e vogliamo, giustamente, colmarlo. Ma cosa significa questo? Significa che ci dimentichiamo che il Dio “macro” è ovunque in ogni momento. Anche in questo, nel quale non lo percepiamo. Pregandolo per “chiedergli di farci entrare” stiamo intrinsecamente affermando che “l’errore” che ci impedisce di percepire lo stato alto è di Dio stesso. Noi bussiamo e bussiamo ma la porta non si apre: chiediamo e chiediamo ma non ci viene dato. Noi ce la mettiamo tutta, ma poi è “lui” a mancare. Forse chiediamo male? Cambiamo modo. E chiediamo e chiediamo: niente. Bussiamo in tutti i modi, magari c’è una sequenza particolare, una combinazione da Mission Impossible: niente. Oh, non apre. La “colpa” quindi è implicitamente sua.

No no. Vado giù proprio diretto: la “colpa” è tua. Tua di chi? Dell’uomo, ovvero dell’essere consapevole solo dello stato basso. Dio non ha problemi, per definizione. Se non riesci a percepire Dio, se non riesci a vivere lo stato alto, significa che qualcosa te lo impedisce. Quel qualcosa sei tu. Quel qualcosa è ciò che senti come “io”. E’ inutile chiedere a Dio di farti vivere la sua perfezione: tu, questa perfezione, non la vuoi vivere. Continui a metterti in mezzo. Sei il man-in-the-middle, l’uomo nel mezzo. Il diavolo. Dio, la porta, te l’ha già aperta: è da quando sei venuto al mondo che è lì a tenertela aperta. Sei tu che ti distrai, ti fai distrarre dal mondo. Mettiamola così: qual è una caratteristica fondamentale di una persona egoista? L’egoista cosa fa? Mette sempre sè stesso al centro di tutto: bisogna parlare di lui/lei, bisogna guardarlo/a, ascoltarlo/a. Insomma, bisogna dargli/le tutta la nostra attenzione. Giusto? La stessa, precisa, identica cosa vale per te, all’interno. D’altronde, la manifestazione esteriore è uno specchio di quella interiore, quindi… C’è una “cosa” che ha chiesto la tua attenzione, sempre di più. Tu gliel’hai data talmente tanto, e continui a dargliela talmente tanto, da esserti convinto di essere quella roba lì. Sei tu, ormai ci sei appiccicato col super attak.

Avete presente Venom, il simbionte, personaggio dell’Uomo Ragno? E’ quell’essere appiccicoso nero che si attacca addosso a una persona-ospite e piano piano ne assume il controllo, annullandola e convincendola di essere lui. L’analogia è sconcertante.

Sei diventato l’uomo, “scendendo” dal livello divino, dallo stato alto. Per te c’è l’uomo, l’animale, l’apparenza, mentre il concetto di Dio è un qualcosa di lontano, che non si fa sentire, che non si è mai fatto sentire. La tua consapevolezza riguarda qualcosa che non è Dio, altrimenti non chiederesti nulla. Hai diviso il mondo in “buono” e “cattivo” e persisti nella convinzione che il “buono” sia degno di essere vissuto, mentre il “cattivo” no. Non vedi la perfezione e anzi le addossi addirittura delle colpe.

Ma come è possibile? Eh eh, è poesia. Dio è l’essere, è tutto ciò che è. Ergo, ovviamente per poterlo sperimentare dobbiamo essere anche noi, giusto? Sbagliato. Per vivere l’essere bisogna non essere. Bisogna sparire. Ma se io ti dico così, tu cosa capisci? Non avendo mai conosciuto altro se non quella roba lì che ti sei convinto essere tu al punto da non poter pensare ad altro, se ti dico “devi sparire” tu mi dici “ma sei scemo?! Devo morire?!”. Giusto? Più o meno c’ho preso? Tranquillo: non è così. “Sparire” non significa “morire”: si può bellamente sparire senza per questo smettere di battere le palpebre. In quel momento avviene una magia: si nasce. Si sente la vita. Si sente ciò che realmente è. Si capisce come l’uomo, l’io, sia falso, come sia ingannatore, come ti abbia allontanato dalla vita senza fartene nemmeno rendere conto.

Provate a meditare. Mettetevi lì, eliminando il più possibile le fonti esterne di disturbo: niente rumori, magari pure niente luce e chiudete gli occhi così da avere poche informazioni su cui potervi concentrare. Con il tempo riuscirete a sentire una cosa fantastica. Noterete come la realtà oggettiva, senza etichette nè giudizi, sia silenziosa: è lì e stop, non fa nulla. Il contraltare di questo silenzio siete voi. Noterete, lo sentirete, percepirete distintamente in tutto il corpo l’attimo esatto in cui vi mettete in mezzo. O meglio, in cui mettete in mezzo quella roba lì che siete convinti essere voi (per il normale livello di percezione, però, non c’è separazione tra voi e quella roba lì, per cui sentirete come se foste voi stessi a mettervi in mezzo). Con “mettervi in mezzo” intendo che romperete il silenzio della realtà oggettiva in mille modi diversi: tramite il pensiero, le emozioni, le convinzioni, le domande, i giudizi, l’orgoglio, lamenti vari, la paura, l’irrequietezza, la noia, le aspettative e in 989 altri modi. Succederà una meraviglia: vedrete quella roba lì che chiamate “io” prendere forma, la riconoscerete. Ma quindi, se potete esserne testimoni, significa che non siete voi. Man mano potrete sentirla sempre di più, anche senza il silenzio del mondo esterno, nelle rumorose situazioni di tutti i giorni.

Eccoti, ben arrivato: sei nello stato alto, finalmente. “Come faccio a sapere di essere arrivato?”, chiedi. Beh, finchè lo chiedi significa che non ci sei… Comunque, non preoccuparti: quando ci arrivi lo senti. E come se lo senti!

Ma tutti noi, in questo esatto momento, stiamo dando la nostra attenzione all’uomo nel mezzo. Probabilmente voi non avete avuto la fortuna mia di provare l’assenza dell’io. E di riprovarla. E’ di una bellezza indescrivibile e letteralmente inimmaginabile. Eppure, anche per me che ho avuto il culo di viverla anche solo per poco, compiere il salto dello scioglimento dell’io è ora straordinariamente complicato. Capisco perfettamente la paura di un balzo completamente nel buio: non avete la minima idea di cosa vi aspetta “dall’altra parte” e non importa quanto bene ve ne possa parlare io: vi farete un’immagine vostra, ovvero vi metterete nel mezzo. Io che un’idea ce l’ho sono pur sempre nel mezzo, perchè mi sforzo di ricordarmela e quindi provo a ricrearla in qualche modo. Che pirla, eh?

Come si fa a sciogliere l’ego? Non si fa, è questo il bello. Ogni volta che si prova a fare qualcosa, ci si mette nel mezzo. Anche provare a dire “ok, adesso sparisco così vivo lo stato alto” è mettersi nel mezzo. Anche dire “ok, non faccio nulla” è mettersi nel mezzo. Arrendetevi. Osservatevi e arrendetevi. Congiungete gli opposti. Ma non provate a congiungerli: sono già congiunti. Riconoscete questa congiunzione. Ce l’avete davanti agli occhi in ogni singolo istante.

Si capisce l’inversione di prospettiva? Troppe volte ho letto, e leggo ancora, di spiritualità in termini negativi, in quanto si parla della nostra attuale percezione come limitata da una gabbia, che siamo in una prigione sensoriale dalla quale dobbiamo uscire per raggiungere la “realizzazione personale”. Che egoisti! Ma che “realizzazione personale”?! Non sei tu a realizzarti in Dio; è Dio a realizzarsi in te, nel tuo corpo e nella tua mente (che, se hai seguito un attimo il ragionamento, non sono nemmeno tuoi). Tu te ne devi d’annà! Via, fuori dalle balle! Sei già realizzato per il semplice fatto di esistere: ora spostati, lascia che sia Dio a realizzarsi pienamente in te. Lascia che la vibrazione più alta si manifesti attraverso te senza distorsioni. Lascia che le tue azioni siano spontanee, intimamente sentite, così come i tuoi pensieri e le tue parole. Questa realtà non è una gabbia, non è uno schifo, non è imperfetta o indegna. E’ talmente fantastica che lo spirito vi è “sceso” dentro, vi è entrato per poterla vivere in prima persona ed “elevarla” a sè. E’ la perfezione assoluta stessa in manifestazione. Pensate quanto siamo rincoglioniti e in opposizione al nocciolo della realtà, a quella vibrazione di base comune all’intero universo.

Cazzo, ma è solo a me che queste cose fanno impazzire di poesia?

25 aprile 2014

Cosmos - Quando si dice “il caso”

L’asteroide cambia tutto. Immaginate se non fosse mai stato spinto [dallo scontro precedente con un altro asteroide, ndM], se avesse completamente mancato la Terra. Per quanto ne sappiamo i dinosauri sarebbero ancora qui, ma noi no. E’ un ottimo esempio dell’estrema casualità, della natura aleatoria dell’esistenza.

Queste parole sono tratte dalla serie di documentari “Cosmos”, una superproduzione di divulgazione scientifica per la tv (tra i produttori c’è anche Seth MacFarlane, ideatore del cartone “I Griffin” o “Family Guy” in originale), in onda in queste settimane su National Geographic Channel. E’ la versione del nuovo millennio della serie originale con protagonista l’astrofisico Carl Sagan negli anni ‘80. Il presentatore del remake è un altro astrofisico, amico di Sagan: Neil deGrasse Tyson, il quale, grazie al supporto degli eccellenti effetti speciali in computer grafica, ci porta in giro per l’universo con la sua “nave dell’immaginazione”. Passiamo in pochi istanti dal passato più remoto col Big Bang al presente, per dare anche ipotetiche sbirciatine al futuro. Ci spostiamo dai confini macrocosmici dell’universo, finanche a superarli, per poi ridurci a grandezze subatomiche per entrare nelle molecole basilari dell’esistenza. E’ tecnicamente ineccepibile e visivamente potente. Ma, ma, ma. C’è un “ma”, se no non sarei qui a parlarvene.

Naturalmente la premessa è che si tratta di un inno incontrastato alla religione del terzo millennio: la scienza, unica pratica degna di assurgere a luce della conoscenza umana. Vabbè dai, questo è scontato. A ben vedere ho l’impressione di avere appena buttato via un paio di righe digitali per evidenziare un’ovvietà grande come la Via Lattea. Difatti non è questo il “ma”. Piuttosto, è contenuto nella citazione in corsivo qui sopra.

E’ il caso e “la natura aleatoria dell’esistenza”. Specialmente nelle prime due puntate, il buon Neil calca piuttosto pesantemente la mano sul fatto che la formazione dell’universo e poi lo sviluppo della vita sulla Terra siano entrambi frutto di episodi casuali nel corso delle centinaia e centinaia di milioni di anni trascorsi dal boom primordiale. 13 e rotti miliardi di anni fa. Casualmente un asteroide ha impattato con un suo simile, deviandone casualmente la traiettoria. Casualmente quell’asteroide colpì la Terra, eliminando quei lucertoloni cattivi dall’alito fetido. Che culo!

L’evoluzione, poi, casualmente ha prodotto un’innumerevole serie di “errori” (li chiama proprio così) che nel tempo hanno portato al mondo come lo conosciamo oggi. Non sto scherzando: è stato tutto casuale. Non mi credete? Oh, mica lo dico io. Qua ci sono fior fiori di menti devote al paradigma del “è vero soltanto ciò che è misurabile e ripetibile” che lo confermano. Vediamo un po’ ‘sti scienziologi che dicono. Partiamo con la riproduzione cellulare del DNA.

Un’apposita proteina fa una revisione per assicurarsi che vengano accettate solo le lettere giuste [i “pioli” della doppia elica del DNA, ndM] di modo che il DNA sia accuratamente copiato. Ma nessuno è perfetto. A volte può verificarsi un errore, che apporterà un piccolo cambiamento casuale nelle istruzioni genetiche.

L’esempio portato da Neil è quello dell’orso, qualche migliaio di anni fa. In origine c’era solo un tipo di orso, quello che oggi chiamiamo “orso bruno” perchè… l’è marun. E infatti anche all’epoca era marrone. Ma

Nella cellula-uovo dell’orsa è avvenuta una mutazione. Un minuscolo evento casuale come questo può avere conseguenze su una scala ben più grande. […] alcune mutazioni, per quanto poche e per puro caso, possono fornire a un organismo un vantaggio fondamentale sulla concorrenza.

E difatti in questo caso la mutazione casuale ha riguardato il pigmento del pelo: da marrone diventò bianco. Col passare di mooolte generazioni, l’orso bruno piano piano sparì dalle immense lande ghiacciate. Il problema per lui era proprio di natura cromatica: gli orsi bruni che vivevano in quelle aree gelate del pianeta “stonavano” con l’ambiente circostante, diciamo, e il forte contrasto tra il bianco del paesaggio e il marrone della pelliccia rendeva per loro complicato procurarsi del cibo sorprendendo le prede. Il nuovo orso bianco, invece, ne era facilitato. Quindi, la popolazione di orsi bianchi aumentò, mentre quella dei bruni in quelle zone perì lentamente, portando in questo modo allo sviluppo di un altro ramo della famiglia degli orsi. Il bruno si è evoluto in un certo modo, specializzandosi in alcune caratteristiche ed abilità diverse da quelle dell’orso bianco.

Che culo! Aah, il caso… Andiamo avanti. Fino a non molto tempo fa,

Si pensava che gli esseri viventi fossero troppo complicati per essere il frutto di un’evoluzione non guidata. Pensiamo all’occhio umano. Un capolavoro di complessità.

E si parla in breve di come è fatto l’occhio.

E’ più complicato di qualsiasi strumento mai creato dalla mente umana. Pertanto si credeva che l’occhio umano non potesse essere il risultato di un’evoluzione casuale.

Ma come siamo arrivati alla conclusione che sia invece effettivamente frutto del caso? Torniamo indietro di qualche milione di anni, quando ancora gli esseri viventi sul pianeta erano acquatici e ciechi.

“[…] fino a che […] si verifica un microscopico errore di copia del DNA di un batterio. Questa mutazione casuale fornisce a quel microbo una proteina capace di assorbire la luce solare. […] Le mutazioni continuano a ripetersi in modo casuale, come avviene per qualsiasi popolazione di esseri viventi. […] In migliaia di generazioni, la selezione naturale porta lentamente alla formazione dell’occhio.

Che culo! Casualmente si è verificato un “errore” nella copia del DNA e casualmente, ovvio, è venuta fuori una proteina che casualmente era capace di assorbire la luce solare. Con il tempo, poi, casualmente

queste proteine fotosensibili si concentrano in un punto pigmentato del più complesso organismo unicellulare. Ciò rende possibile trovare la luce. Uno schiacciante vantaggio per un organismo che sfrutta il sole per sintetizzare il nutrimento.

Casualmente. Passa il tempo. Gli organismi, ancora acquatici, diventano multicellulari e

sviluppano una fossetta nella macchia pigmentata. Questa piccola depressione permette all’animale di separare la luce dall’ombra e distinguere in maniera approssimativa ciò che lo circonda, comprese le eventuali prede e i potenziali predatori.

Avanti così. Salto un paio di passaggi, tanto sono sulla stessa falsariga. La fossetta diventa “una sacca con un piccolo foro”. L’apertura si contrae diventando ancora più piccola, protetta da una membrana trasparente (che si è formata casualmente, immagino). In questo modo è possibile mettere a fuoco (guarda un po’ che caso). Dopodichè arriva il cristallino, “che garantisce messa a fuoco e brillantezza”, figlio evolutivo della “gelatina trasparente vicino alla fessura”. Praticamente insieme a questo processo, avviene anche il leggero allargamento della fessura stessa per far passare più luce. Stiamo sempre parlando di pesci. Quando però questi iniziano ad uscire dall’acqua, i loro occhi, perfetti per la vita liquida, non funzionano bene a contatto con l’aria. L’acqua, infatti, curva la luce in maniera diversa dall’aria. Gli occhi si adattano piano piano al nuovo ambiente ed eccoci qui, oggi.

Figata, eh? E pensate che è tutto casuale!

No, non è vero. Non è proprio così. C’è qualcosa di non casuale: la selezione naturale.

Le mutazioni sono del tutto casuali e avvengono in continuazione. Ma le condizioni ambientali premiano quelle che aumentano le chance di sopravvivenza e, in modo naturale, selezionano gli elementi meglio predisposti a sopravvivere. Quindi la selezione è tutt’altro che casuale.

Aaah ma allora c’è il trucco! Dai mi sembrava troppo assurdo. “Tutto casuale”, pff! Però, aspetta, ok: l’evoluzione della vita sulla Terra non è proprio casuale, anche se ammettere questo implica una forte contraddizione con quanto enunciato poco sopra parlando dell’occhio, ovvero: “Si pensava che gli esseri viventi fossero troppo complicati per essere il frutto di un’evoluzione non guidata”. Alla fine della fiera una guida c’è. Chiamiamola “selezione naturale”, chiamiamola “Mario Rossi” o “cazzabubbola” ma alla fine qualcosa che direziona e regola il caso c’è. Meno male, mi sento meglio.

Eh no! La selezione naturale regola l’evoluzione sulla Terra. Ma la Terra è essa stessa frutto del caso. Lo abbiamo visto all’inizio, no? L’intero universo è frutto del caso. Non lo dico io, eh: a parte Cosmos, lo dicono, ad esempio, anche Wikipedia e le sue autorevoli fonti scientifiche. Cito dalla pagina “Big Bang” di Wikipedia, nella sezione “Cronologia del Big Bang”:

Le temperature erano così alte che il moto casuale delle particelle avveniva a velocità relativistiche e coppie particella-antiparticella di ogni tipo erano continuamente create e distrutte nelle collisioni.

Questo nei primi istanti di vita dell’universo. Figuratevi dopo… Quanti anni ha l’universo? 13 miliardi e mezzo-quasi 14? Mh, ok. Quanto è grande? Ipotizziamo che non sia infinito, ovvio. L’universo osservabile è “grande” 46 miliardi di anni luce. Ed è solo la parte che riusciamo a vedere, quella che conosciamo. Già non mi sembra proprio piccolino… Quanti oggetti celesti ci sono dentro? Miliardi di miliardi di miliardi… (inspiro per riprendere fiato) di miliardi di miliardi di miliardi… di miliardi… Ok, teniamo conto che una volta era più piccolo e c’erano in giro meno sassi. Comunque non stiamo parlando di un bilocale pieno di ghiaia delle spiagge liguri. Quanti eventi casuali si sono verificati in 13 miliardi e spiccioli di anni, in uno spazio di grandezza praticamente incalcolabile? 13 miliardi di anni! Leggete queste parole: tredici miliardi di anni. Ci avete messo quanto? Un secondo e mezzo? Due? Ecco. Quanto tempo ci mettete ad andare al lavoro? Mezz’ora? Un’ora? Ecco. Quanti anni avete? 20? 30? 50? Ecco. Quante “cose” avete vissuto, nella vostra vita? Tutte casuali, naturalmente. Ecco. Qui parliamo di più di 13.000.000.000 di anni, quasi 14. Nove zeri! In uno spazio che manco riusciamo a immaginare. Tutto casuale.

La Terra è nata per caso. Si è formata in questo modo per caso. La selezione naturale è frutto del caso. Le leggi fisiche? Caso. Le stelle? Caso. Lo spazio? Caso. Le galassie? Caso. Io che scrivo? Caso. Voi che leggete? Caso.

Sembra una cazzata, una roba eterea, lontana, inutile, pseudo-filosofica, ma le implicazioni pratiche di una tesi simile sono devastanti. Dire che tutto è casuale significa affermare che tutto è senza senso. Eppure noi siamo esseri dotati della capacità di dare senso al mondo e all’universo. E’ una forza intrinseca nostra, quella che ci spinge a studiare, a cercare, a sperimentare. A vivere. Togliere di colpo il senso alla realtà significa estirpare la vita davanti ai nostri occhi. Tutto è aleatorio, non ha una vera ragione di esistere: è semplicemente capitato, senza un motivo vero, senza una logica. Per cui noi siamo qui senza una vera ragione e per di più ci ritroviamo ad avere una naturale predisposizione alla ricerca del senso di una realtà che un senso non ce l’ha. Cornuti e mazziati. Oltre al danno, la beffa.

Per cui è tutto inutile: che ci stiamo a fare, se non c’è niente da capire, se tutto è figlio del nulla? Sì ok abbiamo trovato le leggi della termodinamica: e allora? Che si fa? Tanto non hanno una vera ragione per esistere, sono nate dalla casualità (che già è un bel controsenso: come fa il caso ad avere delle leggi?).

La scienza in sè non è sbagliata, ma giunge un po’ troppo spesso a delle conclusioni assolutamente parziali e raggelanti. Però le spaccia per verità assodate. Il fatto di non riuscire a capire perchè determinati eventi si verifichino o si siano verificati non significa che siano accaduti casualmente. Semplicemente, non ne capiamo il motivo. Siamo ignoranti (inconsapevoli) noi, non è l’universo ad andare a cazzo. Non so voi, ma a me appare evidente che tutto è perfettamente coordinato con tutto il resto, ovvero che tutto ha una ragione di esistere e di verificarsi, ovvero che tutto è intelligente. Questa intelligenza potremmo chiamarla “Dio”? Potremmo. O “Mario Rossi”, o “cazzabubbola”.

E ragioniamo un attimo, solo un secondo. Prendiamo come esempio uno dei passi evolutivi trattati da Cosmos. Che ne so, prendiamo “l’errore” che casualmente genera la proteina che “permette di assorbire la luce solare”. Come faceva quella proteina a sapere di riuscire ad assorbire la luce? Come ha fatto la realtà a generare qualcosa di nuovo che però si interfacciava perfettamente con l’elemento “luce solare” preesistente? Dopodichè va a formarsi una “fossetta nella macchia pigmentata”, così da permettere all’animale “di separare la luce dall’ombra e distinguere in maniera approssimativa ciò che lo circonda”. Perchè una fossetta? Come faceva la realtà a sapere che in quel modo sarebbe sorto addirittura un nuovo apparato sensoriale? Questo tanto per fare un esempio, relativamente recente tra l’altro in termini di tempo cosmologico. Torniamo più indietro? E torniamoci. La luce. Perchè la luce? Perchè l’attrazione universale? Perchè i gas? Non intendo cosa sono o cosa fanno, men che meno le formule matematiche e il come lo fanno. La domanda è semplice: perchè? Perchè l’atomo? Perchè è rotondo? Perchè, se tutto è un cazzo di caso, l’universo gira che è una meraviglia da quasi 14.000.000.000 (14 miliardi) di anni? Perchè non si è sfaldato in nessun punto?

Ma dai, nella prima puntata di Cosmos si parla anche del grande Giordano Bruno e si racconta dell’intuizione avuta durante un sogno grazie alla quale ha capito che l’universo era infinitamente più grande di quanto si credesse allora (per lui era proprio letteralmente infinito), che Copernico aveva ragione a togliere la Terra dal centro della visione universale, ma che anche lo stesso Copernico non aveva capito quanto innumerevoli siano le stelle come il Sole e quanto innumerevoli siano i pianeti simili al nostro. E deGrasse come la definisce? “Una fortunata intuizione”.

Neil deGrasse Meme

(Neil deGrasse in versione meme)

Fortunata = casuale. A parte che l’intuizione come realtà fenomenica non è propriamente ben vista dalla scienza. Esiste, e come se esiste, ma la scienza tende a ignorarla e a non includerla nella “vera scienza” in quanto non ripetibile a comando in laboratorio. Ma va beh… Comunque, Giordano Bruno era arrivato a capire pienamente, per i fatti suoi tra l’altro, ciò che era stato solo teorizzato poco tempo prima. Senza “leggi fisiche”, senza “esperimenti”. Senza scienza, in pratica. E li aveva fregati tutti. “Fortunata intuizione”?! Fortunata intuizione è al massimo quando sei nel parcheggio di un centro commerciale, vedi un posto libero ma è piuttosto lontano dall’entrata e, siccome muovere troppo le gambe fa male alla salute, dici “No, vado avanti che tanto uno più vicino lo trovo”. E poi effettivamente lo trovi. Questa possiamo chiamarla “fortunata intuizione”, al limite. Ma una che ti dà la comprensione di una realtà fino a questo momento quasi totalmente ignorata dal resto del mondo, e quei pochi che non la ignorano comunque non l’hanno capita così profondamente, non ha proprio un cazzo di “fortunato” inteso come “casuale”.

Non ce l’ho con la scienza, per carità. Mi piace la scienza. Non ce l’ho neanche col buon Neil deGrasse. E quando “gente di scienza”, come si dice, dà contro alla religione “classica”, quella della Chiesa et similia per intenderci, sono d’accordo. L’interpretazione religiosa dominante è un abominio, non ha niente di spirituale, è solo business e potere. Però anche alcune conclusioni della scienza “classica” fanno abbastanza schifo, dai. Tra Cosmos e Hawking, ragazzi, non è che la scienza ne esca proprio bene. Ci vuole un bel bagno di umiltà da ambo i lati, smetterla di credere di avere la verità assoluta in mano: non ce l’ha la scienza, checchè se ne dica, e non ce l’ha la religione, checchè se ne dica. E anche se ce l’avessero, non potrebbero darvela.

Dovete cercarvela voi. Ammesso che casualmente la vogliate… In questo caso, che culo!

;)

23 aprile 2014

Un muro umano: gli intermediari

Quali mezzi abbiamo per conoscere? Per conoscere il mondo, per conoscere sè stessi, gli altri, la realtà eccetera, intendo. Non parlo di sapere a memoria i primi 50 decimali del pigreco. Quella, al limite, è cultura. Intendo proprio mezzi per conoscere la realtà in sè, quanti ne abbiamo? Due. Ne abbiamo due: il corpo e la mente. Punto. Non è difficile. Nel momento in cui veniamo al mondo sono questi gli unici due strumenti che possediamo. E sono sempre gli unici fino alla nostra dipartita.

Dov’è il nostro corpo? Dov’è la nostra mente? Là fuori? Ce li ha qualcun’altro? Evidentemente no, giusto? E allora perchè siamo convinti sia necessario avere degli intermediari tra noi e la conoscenza? Perchè mai sarebbe necessario rivolgersi al papa e alla Chiesa, ad esempio, per conoscere Dio?

Scena immaginaria. Voi siete un alieno in visita sulla Terra. Atterrate con la vostra bella astronave splendente, appena portata a lavare e lucidare, in un paesino di poche migliaia di anime. Ne incontrate una. Ne appurate la gentilezza, magari cercando di mimetizzare in qualche modo la vostra particolarità estetica in modo da non spaventarla troppo e, dopo aver passato un po’ di tempo con lei, averla convinta della vostra provenienza e tranquillizzata sullo scopo pacifico della vostra visita, porgete la domanda fatidica, il solo motivo del vostro peregrinare intergalattico: puoi spiegarmi l’amore? Sorpresa mista a imbarazzo, per l’amica persona umana. Dopo questo momento di impaccio, si convince a sputare il rospo e vi fornisce la migliore spiegazione umanamente concepibile di quella… cosa conosciuta come “amore”. E’ perfetta, meglio di così non si può proprio: questo è l’amore, per filo e per segno.

Domanda: siete soddisfatti? Sentite di aver compreso cosa sia l’amore? Potete dire di conoscerlo davvero? Mm, non credo. L’unico risultato ottenuto è un’immagine. Ora ne avete una descrizione. Certamente meravigliosa, ma pur sempre una fredda descrizione. Per giunta, è estremamente probabile che l’interpretazione di questa descrizione sia diversa tra voi e il vostro nuovo amico antropomorfo. Ma l’amore, effettivamente, non lo conoscete.

Ci siamo? Quindi, qual è il solo modo per conoscere l’amore, alienucci miei? Viverlo. In prima persona (aliena). Ma la questione ora diventa un’altra: se non conoscete l’amore, del quale avete solo un semplice  quanto distaccato disegno mentale molto approssimativo e in fin dei conti nemmeno troppo utile, come fate a riconoscerlo? Come farete a capire di stare provando quella… cosa comunemente chiamata “amore”? Non l’avete mai sperimentata in prima persona, quindi non la conoscete davvero. Bel problema. D’improvviso vi ritrovate in una situazione particolare, la quale vi scatena dentro una sensazione incredibile, bellissima. Ne siete travolti, sommersi e volontariamente sottoposti. Vi sentite in paradiso, è un’esperienza totalmente nuova. “Ma cos’è?” La domanda dura lo spazio di un nanosecondo, neanche il tempo di mettere il punto interrogativo e già viene spazzata via dalla risposta, spontanea, straordinariamente ovvia: è l’amore, sciocchi! E’ riconoscibilissimo! Non l’avevate mai sperimentato prima d’ora eppure, adesso che è in piena manifestazione, risulta così… conosciuto. Aaah, adesso capite! Ecco cosa intendeva dire il vostro amico terrestre! L’avevate inteso in maniera diversa. Vi eravate fatti un bel disegno mentale, immaginario, ma soltanto ora comprendete il vero significato di quelle parole. E poi, se ci fate caso, quel disegno, oltre ad essere clamorosamente freddo e irrisoriamente profondo, non era nemmeno troppo accurato. L’immagine che vi siete costruiti non combacia granchè con l’esperienza effettiva.

Ora sapete. Ora conoscete davvero cos’è l’amore. Ora lo comprendete. L’intermediario non ve l’ha fatto conoscere: ve ne ha solo fornito una sua personale interpretazione. E già è stato bravo: ha avuto l’onestà di non volervi fregare spacciandovi per amore quella… cosa conosciuta come “paura”. Non vi ha ingannati definendovi l’”egoismo”. Ma tanto, anche se l’avesse fatto, a quest’ora la sua menzogna sarebbe già stata completamente distrutta. D’altronde oh: la comprensione non viene da fuori.

Se, invece di essere un alieno, foste un uomo nato in un luogo nel quale le leggi, i dogmi e le regole religiose della civiltà non siano giunte, come fareste a conoscere? Non ci sono intermediari dotati delle nozioni necessarie. Siete fregati, in pratica. Avete avuto la sfiga di nascere in un posto nel quale è impossibile arrivare a capire cosa siete, perchè siete e cos’è tutta la roba che avete intorno. Mi dispiace: sarà per la prossima vita. Magari vi andrà meglio e capiterete in un luogo che vi fornirà i mezzi indispensabili per riuscirci, fortunelli che non siete altro! Sarete migliori di quei poveracci nati in culo ai lupi e voi, a differenza loro, ce la farete. Voi comprenderete, loro no.

Capite l’assurdità dello “schema degli intermediari”? In sostanza presuppone che non tutti nascono uguali: ad alcuni va bene, ad altri no. Come il superenalotto. Nasci in un posto e hai determinate persone che ti danno gli strumenti necessari alla comprensione: nasci in un altro e sono cazzi tuoi, sfigato! Il Dio che vuoi conoscere te l’ha messo in quel posto senza la cortesia della vaselina.

Non ha senso (e alla questione del senso dedicherò il prossimo post). Non è così. Gli intermediari… Forse non dovremmo più riconoscerli, definirli e chiamarli come tali. Non dovremmo più porli tra noi e la comprensione. Sono persone come noi, con le quali entriamo in contatto, non diversi (e men che meno migliori) dai nostri genitori, dai nostri amici, dallo sconosciuto incontrato per strada. Tramite l’interazione con loro possiamo capire qualcosa di noi, esattamente come interagendo con chiunque altro. Ma loro non hanno La Conoscenza e, anche se l’avessero, non potrebbero darcela in alcun modo. Si può tranquillamente affermare che gli intermediari non sono necessari. Neanche esistono, in realtà. Intermediari de che, se la comprensione è interiore? E di qualcosa che viene da dentro, per giunta.

18 aprile 2014

Corri eh, che Satana ti sta cercando (ovvero: un esempio del dilagante rumore in campo spirituale)

In alcuni/molti degli articoli che ho scritto a occhio e croce più o meno nell’ultimo anno circa, ho criticato abbastanza aspramente parte della cosiddetta controinformazione e in particolare il settore relativo alla spiritualità. Ritengo ci sia in giro troppo “rumore”, troppa confusione e una discreta dose di superficialità. Quando poi nella questione entra quella piccola peste combina guai di Satana è il delirio. Oggi c’ho qua un bell’esempio per provare a farvi capire cosa intendo.

L’articolo in questione è preso da LoSai.eu, sito relativamente famoso in ambito controinformativo (dall’homepage vedo che ha oltre 3000 “mi piace” sul Faccialibro, mica cotica), e il titolo è: “Il Noah di Aronofsky è un satanista? Alcuni particolari inquietanti”. Si riferisce, ovviamente, al nuovo film ‘mer ricano con protagonista Russell Crowe nella parte del biblico Noè, il vero inventore degli zoo moderni. Non mi addentro nel dettaglio dell’analisi cinematografico-simbolica del film in sè, la conclusione della quale è che esso sia fondamentalmente un’interpretazione in chiave sottilmente satanista e poco aderente al racconto della Bibbia. Ci sta, è molto probabile che sia così. Ciò che più mi attira, però, sta nella parte introduttiva dell’articolo, a firma Daniele Di Luciano. Cito:

“[…] nel satanismo si adora Satana, nello gnosticismo si adora il serpente che diede la conoscenza ad Adamo ed Eva, nella cabala il serpente diventa Lucifero ma il risultato non cambia.

Il serpente svolge un ruolo importante anche nel film di Aronofsky. Nella simbologia massonica, il serpente che si morde la coda, l’Uroboro (nell’immagine lo vedete con al centro la squadra e il compasso), rappresenta la congiunzione degli opposti (la coda e la testa si sovrappongono). È uno degli obiettivi massonici: fare in modo che il male diventi bene e il bene diventi male, che Satana sia considerato buono e il Dio cattolico cattivo, in barba all’odiato (da loro) principio di non contraddizione, in cui il bene è il bene e non potrà mai diventare male e viceversa.

Allora, ci sono molti concetti da esprimere e chiarire. La premessa di tutto a priori, comunque, è una e una sola ed è una contraddizione intrinseca in ogni ragionamento “classico”. Abbiamo Dio, giusto? E Dio è onnipotente, onnisciente eccetera eccetera. Perfetto, ci sto in pieno. E’ sempre il Suo volere a compiersi, e non potrebbe essere altrimenti viste le Sue caratteristiche. Poi, però, c’è un tizio cornuto che, mannaggia a lui, riesce ad andare contro il volere di Dio ed è sempre in cerca di nuovi adepti per andare contro Dio. Si vede la contraddizione? Dio è tutto, illimitato, l’alfa e l’omega, il principio e la fine… e poi mi fa brutta figura con uno sbarbatello ribelle aspirante punkabbestia? Cioè sì, Dio non è proprio infinito… Non è proprio onnipotente… Ci si avvicina, ecco. Sostanzialmente è imperfetto. COME “IMPERFETTO”!? Sono duemila e rotti anni che siete in giro a predicare la conversione a Dio per avere la salvezza tramite la fede, la menate con la perfezione di Dio e del Suo volere… per poi ridurlo nei fatti a un mezzo pirla in guerra con qualcosa che non è Lui?! I casi sono due: o Dio è infinito oppure non lo è. Nel primo caso (quello giusto, tra l’altro), non è possibile per niente e nessuno essere al di fuori di Dio: ergo, nulla (NULLA!!) accade senza che Dio ci metta la firma. Nel secondo caso (implicito della visione canonica), Dio non è… Dio, non ne ha le caratteristiche, il curriculum langue. E’ al limite un semi-dio, con la “d” minuscola, nè più nè meno dio del diabolico Cornutazzi. Mi dispiace, cari i miei fedeli, ma è così. Appiccicatevi questo in testa: tutto è Dio. E Dio è ciò che potremmo definire come “bene assoluto”. ASSOLUTO, ok? Ergo, fate 2+2. Ma finchè ci si pianta immobili sulla visione di Dio come il tizio sulle nuvole non se ne esce più.

Seconda considerazione: il serpente che si morde la coda. Come riporta l’articolo stesso, “rappresenta la congiunzione degli opposti”. Eh… E dove sarebbe il problema? Congiungere gli opposti significa prendere il campo relativo nel quale ci troviamo, la realtà che vede l’esistenza di una cosa e contemporaneamente del suo opposto (positivo-negativo, bene-male, interno-esterno ecc.) e “trasformare” questo relativo in assoluto. In sostanza significa fare esperienza diretta dell’assoluto, dell’unità. Di Dio, cazzo!! Significa superare ogni sensazione che non sia amore. L’unità è identificabile con quel piccolo e insignificante concetto chiamato “amore incondizionato” e quando lo si prova ci si ritrova come fuori dal mondo, in uno stato di trascendenza interiore, sperimentando un impressionante stato di innamoramento verso tutto e tutti, noi stessi in primis. Si riconosce l’assoluta perfezione dell’esistenza tutta. “Innamoramento” è ancora riduttivo, molto riduttivo. Non ci sono parole per descrivere in maniera anche solo minimamente accurata un’esperienza simile, non essendo un qualcosa che viene dalla mente.

E poi, scusate, ma a me sembra che anche Gesù dica: “Quando farete dei due uno, e quando farete l'interno come l'esterno e l'esterno come l'interno, e il sopra come il sotto, e quando farete di uomo e donna una cosa sola, così che l'uomo non sia uomo e la donna non sia donna, quando avrete occhi al posto degli occhi, mani al posto delle mani, piedi al posto dei piedi, e figure al posto delle figure allora entrerete nel Regno.” Ah beh però è vero, scusate: ne parla nel vangelo di Tommaso, scusate. Errore mio. Avrei dovuto pensarci: qualsiasi frase presa al di fuori dei vangeli cosiddetti canonici, definiti come tali in base all’arbitrio di alcuni uomini (e quindi per definizione peccatori, no?) nel corso dei secoli, non ha il minimo valore. Scusate.

“Congiungere gli opposti” non significa “fare in modo che il male diventi bene e il bene diventi male”. Quella semmai è un’inversione degli opposti. Massoni, satanisti, Illuminati o chi per loro avranno pure un interesse a invertire il bene col male, nella nostra percezione. Ma non è questa la congiunzione degli opposti. Quando gli opposti si congiungono, l’effetto è quello di uscirne. 1+1=3. E’ l’apertura delle porte del Paradiso. Ma porca troia, cosa vuol dire che Dio è “l’alfa e l’omega”? Non è la congiunzione degli opposti? Oh, non lo dico io: è scritto nell’Apocalisse. Se si uniscono il principio e la fine, cosa si ottiene? L’infinito. Toh guarda: ho trovato Dio.

C’è anche questa concezione che mi lascia sempre molto perplesso. Si dice sempre che Dio è nei nostri cuori, che dobbiamo conoscerlo e ci dobbiamo aprire a Lui per raggiungerlo, in un certo senso. Perfetto. Poi, però, non appena si nomina una possibilità di conoscenza profonda, vera, interiore, sentita e benedetta non va bene. Infatti, non so se ci avete fatto caso, ma la luce è bella… finchè rimane fuori di noi. Non appena si solleva la questione della conoscenza interiore di Dio senza passare da nessun tramite esterno a noi, ALT!!! “Vuoi conoscere Dio per i fatti tuoi?! Ma sei pazzo? Lascia stare, amico mio: quello è Satana che ti tenta! E’ lui che vuole farti credere di diventare come Dio. Ti attira con la promessa del potere e poi ti incula. Lascia perdere! Fatti li cazzi tua!” Capite il trucco? Non appena si ventila la possibilità di conoscere per davvero Dio intimamente, il Cornutazzi viene sempre eretto a guardiano tenebroso della conoscenza. Svolge il ruolo del gatekeeper, viene assurto a Uomo Nero per incutere paura nelle teste di chi è seriamente e genuinamente interessato a sentire il divino in sè, in prima persona. Eh no, così no. Vuoi conoscere Dio? Passa dalla Chiesa, passa dai preti, passa da mio nonno in carriola. E rimani nell’ignoranza.

Il serpente che fa mangiare il frutto della conoscenza è considerato, dagli gnostici, il vero dio. Gnosi, infatti, vuol dire conoscenza. Ma la conoscenza viene simboleggiata anche dalla luce e il portatore di luce è Lucifero.

Capite? La conoscenza di Dio è male. Vuoi sentire Dio in te? Luciferino che non sei altro! Gnostico bastardo! Massone illuminato delle mie palle! Redimiti!! Che poi ci siano dei cretini che venerano davvero un rettile o un pirla con le corna, questo è un altro discorso. E’ roba da favolette per bambini, quella. E’ un’interpretazione agghiacciante di un messaggio infinitamente profondo. Idem quello della Chiesa. Ciò che la Chiesa ha fatto nel corso dei secoli è uno stupro in piena regola del messaggio del Cristo. Non biasimo minimamente chi, di fronte ad una siffatta lettura, molla tutto e si fa ateo. Come fai a chiamarlo stupido? Di fronte a un quadro sconclusionato e senza senso è normale storcere il naso. Storci e storci prima o poi si rompe.

Il messaggio di Gesù è rivoluzionario, oggi più che mai. E’ senza tempo (giustamente), rivolto a ognuno di noi. In realtà, è la parte più divina di ognuno di noi a parlare al nostro cosiddetto ego. Se me lo trasporti all’esterno, distorcendolo all’inverosimile, e me lo confini temporalmente, mi dici come può tornarmi utile? Io ho letto bene i vangeli (sì: anche quelli apocrifi) solo l’anno scorso. O due anni fa, non mi ricordo, comunque ci siamo capiti… Prima di allora ne avevo presi solo spizzichi e bocconi qua e là, senza rimanerne granchè impressionato. Risultato? Sono fantastici. Non ho mai letto nulla di più potente e allo stesso tempo di facile comprensione. C’è così tanta verità, lì dentro, da non meravigliarmi se non vengono compresi da tante persone. Mi sorprenderei del contrario. Essendo noi fondamentalmente superficiali e bloccati nella razionalità schematica appresa dagli altri, qualsiasi concetto più profondo viene razionalizzato seguendo appunto degli schemi arbitrari imparati, provenienti da chi ci sta intorno. Una regola basilare di questo paradigma è: il mondo è tutto là fuori, racchiuso nella (minuscola) parte visibile dello spettro della luce. Un’altra regola è: l’autorità la sa più lunga di te. Credile, perchè vuole solo il tuo bene. Per cui, se ti dicono che Gesù Cristo era l’unico figlio di Dio vissuto 2000 anni fa, credici: hanno ragione.

Quando, invece, qualcuno si azzarda a proporre un’altra lettura per cui il Cristo in realtà è una possibilità, rappresenta la realizzazione totale di una persona, l’intima conoscenza totale dell’esistenza, l’assoluta presenza interiore, diffida di costui o costei! Ti porterà solo all’inferno, in quanto è soltanto un servo o una serva di Satana. Attieniti all’interpretazione/stupro del catechismo e stai zitto.


APPENDICE

Dio non è una persona. Non è nemmeno un essere antropomorfo. E non è (solo) “là fuori”. Per una pura esigenza di chiarezza espositiva e concettuale, facciamo così: prendiamo Dio e definiamolo in due modi. Uno assoluto (e Reale con la “R” maiuscola) e uno relativo. In termini assoluti, Dio è tutto. E con tutto intendo proprio TUTTO (sì: anche Satana). Paradossalmente questo “tutto” è infinito, per qui non è delimitabile, non è definibile. Se si dice “tutto”, infatti, si esclude il “niente”. E’ tutto e niente allo stesso tempo, diciamo. E’ puro e assoluto amore, desideroso di conoscersi attraverso la manifestazione.
In termini relativi, Dio sta ad indicare quella parte più “alta” dell’esistenza, la Verità, quella parte dell’esistenza che la permea tutta indistintamente. Quell’”energia” comune a tutto l’universo, il nucleo sostanziale, unico, presente in noi come in una pianta, o in un sasso, o in una stella. E’ la parte intrinseca che unisce ciò che appare separato. E’ quell’intelligenza esteriormente nascosta che permette al sangue di scorrere, alla mente di pensare, ai pianeti di muoversi e all’universo di esistere così com’è. E’ quella parte che la scienza ignora, in sostanza, limitandosi a descriverne la superficie, la manifestazione esteriore. E’ quella parte che voi ignorate e alla quale, in un certo senso, vi sostituite. Oh Cristo! Ma questo significa che ognuno di noi è Satana! Sì, è così: ci “sostituiamo” a Dio.
Satana è un concetto, non è un particolare tizio taurino. E’ ogni persona nel momento in cui non sente in sè l’amore incondizionato, in ogni istante nel quale pone sè stesso (inteso come ego, o mente superficiale) in contrapposizione al resto della realtà, separato da essa e con essa in conflitto.
Cristo è la persona “de-satanizzata”. E’ colui o colei perfettamente conscio/a in ogni istante della natura dell’esistenza, della sua origine e della sua fine, oltre che del suo fine: consapevolezza. E’ consapevole di essere una scintilla di consapevolezza, giunta qui per portare consapevolezza agli altri e all’universo e per riceverla dagli altri e dall’universo attraverso le interazioni. Ogni evento e ogni incontro nascono dalla consapevolezza, generano consapevolezza e “muoiono” nella consapevolezza.

Buona Pasqua a tutti!

14 aprile 2014

Tanto rumore per nulla

Immaginiamo una scena. E’ domenica pomeriggio. Un’altra lunga settimana di lavoro è finita. Avete dato retta otto ore al giorno per cinque giorni a quel simpaticone del vostro capo, che vi ha fatto sgobbare ancora più del solito senza darvi la soddisfazione di ricevere un complimento. Avete sostenuto una divertente uscita notturna con gli amici e siete tornati a casa che la notte ormai era piena di rughe. Siete usciti a fare qualche compera con il/la vostro/a partner e avete passato l’intero pomeriggio tra file e file di scaffali e interminabili attese per ottenere l’attenzione di un commesso oberato di clienti. Avete fatto un giro in posta, in banca e a pagare l’assicurazione della macchina, per l’immensa gioia del vostro cuore e lo svuotamento istantaneo del vostro portafogli. Siete riusciti perfino a sorridere all’assicuratore, nonostante sia di per sè una piccola sanguisuga e per giunta di un’antipatia rara in questo universo, da ritenersi quasi onorati di conoscere una persona di tal foggia. Avete sistemato ben bene la casa, pulito il pavimento, spolverato i mobili e pure lavato i vetri, che ormai erano più opachi del muro. Questa mattina, tagliaerba tra le mani, avete dato una bella rinfrescata al piccolo giardino di casa, liberandolo da serpenti, conigli e piccoli predatori nascosti da qualche tempo tra quello che ormai era diventato un campo di grano verde. Avete fatto da mangiare, un bel mangiare perchè, diamine, è il fine settimana e volete trattarvi un po’ meglio degli altri cinque pesanti giorni, o sbaglio? Pure qualche parente è venuto!  Di tutto. Avete fatto di tutto per sei giorni e mezzo. Ma adesso, aaah! Finalmente un po’ di riposo. Cavolo se ve lo meritate!

Dai, sdraiatevi su quel bel divano, ricolmo di tante gradevoli promesse rilassanti. Finestra aperta, tanto non fa freddo, così si respira pure un po’ d’aria buona. Al limite tirate giù la tapparella, fino a metà, giusto per non avere il sole dritto in faccia. Il mondo intero si è messo d’accordo con voi e la vostra richiesta di tranquillità è stata accettata con gran piacere. Oooh, ora via: riposatevi. Sentite che bel silenzio, che bella pace? Non vola una mosca. Riposano pure loro. Si sentono soltanto i simpatici cinguettii di qualche uccellino, canti ideali per il relax. Dev’essere questo il suono della perfezione. Ciao a tutti, per un paio d’ore non ci siete per niente e nessuno.

“Ma che cazz…”. Proprio in questo preciso istante di abbandono estatico, il vostro vicino decide che è il momento più giusto per spaccare totalmente il silenzio: accende la sua sega elettrica e inizia rumorosamente a tagliare i rami delle sue infinite siepi. Quanti saranno, 50-60 metri? Ci metterà ore! Ma non è possibile, li mortacci sua! Come faccio a dormire?! Cioè, vacca boia, era tutto silenzioso e adesso che il silenzio serve veramente guarda te ‘sto stronzo…

E difatti poi non riuscite a prendere sonno: il tiepido e delicato rumore della motosega, che poi non è neanche elettrica ma a miscela (ri-mortacci!), funge da catalizzatore assoluto della vostra attenzione. E arrivederci al riposino.

Ma perchè succede? Perchè ci arrabbiamo e suoniamo al campanello di molti santi del calendario (non ottenendo mai uno straccio di risposta, tra l’altro)? Se l’intento risoluto è, nel nostro esempio, quello di riposare, perchè basta poco per farci innervosire e distrarci immediatamente dall’obiettivo? Come oggetto “distraente” ho messo la motosega e la sua intensa melodia, ma ci sta bene qualunque cosa, anche il semplice tuffo più o meno cadenzato delle gocce d’acqua dal rubinetto dentro un catino mezzo pieno. Siete lì tranquilli, che magari state pure meditando concentrati e in sottofondo sentite plop… silenzio… plop… silenzio… silenzio… “Ooh, meno male. Ha fin…” plop. Vi innervosite, l’unico compagno del quale siete disposti ad accettare la compagnia è il silenzio. E la meditazione possiamo mandarla bellamente a quel paese. Qual è la causa?

Noi. Noi siamo la causa. Ci siamo noi, è questo il problema. Anche quando sembra che non stiamo facendo niente, in realtà una cosa la facciamo sempre: spostiamo l’attenzione. E dove va l’attenzione, lì ci siamo noi. A quel punto intervengono degli schemi mentali deterministici. Ovvero, stando al nostro esempio: non è possibile fare un sonnellino con la costante presenza di un caos rumoroso in sottofondo. Aggiungiamo pure che questo sonnellino lo abbiamo anelato come Berlusconi anela a farsi una bella e giovane minigonna e la frittata è bella che fatta. Siamo costantemente rivolti all’esterno, e con “esterno” intendo dai pensieri in fuori. Perchè anche i pensieri sono all’esterno, sono fuori da noi, dai veri noi. Finchè c’è concentrazione, siamo rivolti all’esterno e ne siamo in balìa. Per cui, avendo noi un obiettivo da raggiungere (il riposino) e avendo in mente il solo modo per raggiungerlo, ci concentriamo affinchè la situazione segua lo schema. Non appena c’è un evento imprevisto, che esula dal paradigma, panico: l’attenzione, quindi noi, va su quell’evento e manda all’aria i nostri piani.

E’ il vicino con la sua amata motosega, il problema? O siamo noi? State parlando con una persona e il discorso è ormai intavolato. All’improvviso un cane inizia ad abbaiare per i fatti suoi e il rumore è abbastanza forte, ma non va ad inficiare in chissà quale maniera la vostra comprensione delle parole dell’interlocutore. Però è insistente e la frustrazione comincia ad insinuarsi, subdola e determinata. Arrivate al punto da interrompere la conversazione, della quale avevate già perso qualche pezzo dal momento che il cane ha iniziato a rompere le balle, e urlate “Basta abbaiare! Stai zitto!”. Ma cosa c’entra il cane?! Non ce l’ha con voi, manco vi vede, manco sa che siete lì. Perchè vi spostate dal discorso al cane? E perchè l’abbaiare del cane, non potente abbastanza da rendere impossibile comprendere le parole del vostro interlocutore, è un rumore per voi inaccettabile?

Per meditare è necessario il silenzio. E se per caso capita che non sia così, il suono “di disturbo” afferra la vostra attenzione e vi distrae. O vi innervosite oppure vi fissate col dirvi di non farci caso, di non distrarvi, che non è niente. In entrambi i casi l’unico effetto ottenuto è di bloccare l’attenzione proprio su quel suono. Esattamente il contrario della meditazione. Perchè per meditare il silenzio non è assolutamente necessario. Può aiutare, questo è vero, ma la meditazione non è solo mettersi seduti in una certa maniera e fare determinate cose evitandone altre. La meditazione è uno stato dell’essere. Si può essere meditativi anche durante un concerto degli Slipknot.

E’ tutta una questione di attenzione e concentrazione. Normalmente abbiamo un obiettivo e concentriamo la nostra attenzione su un modo per raggiungerlo, che sia il riposino, una discussione o la meditazione. Se accade un qualcosa che esula, nella nostra testa, da questo modo, allora ci opponiamo a quella cosa e così facendo noi “ci siamo”, ci mettiamo in mezzo (diavolo). E quando ci siamo “noi” manca tutto il resto. E’ solo nel momento in cui l’attenzione si espande al punto da sparire, al punto da non essere concentrata da nessuna parte, che noi “scompariamo”, “ce ne andiamo” e i rumori della motosega, quello del cane e quello delle gocce d’acqua diventano magicamente ciò che sono nella realtà: rumori. Rumori degni di esistere esattamente come il silenzio. A questo punto se vogliamo riposarci, ci riposiamo; se vogliamo ascoltare ciò che una persona ha da dirci, la ascoltiamo; se vogliamo meditare, meditiamo. I rumori sono sempre lì, ne siamo perfettamente consapevoli, ma siamo in egual modo consapevoli che è normale che ci siano, così come è normale che l’erba del nostro prato è verde o il soffitto di casa bianco.

E’ come prendersela con il tempo, quello atmosferico, quando fa caldo o quando fa freddo. Stessa cosa. Il conflitto, il disordine lo immaginiamo noi e agiamo di conseguenza. La realtà dei fatti ci smentisce clamorosamente, ma siamo troppo immersi nel mondo immaginato per accorgercene. Il frastuono della motosega non entra in conflitto col cinguettio degli uccelli, nè col sottile fruscio delle foglie mosse dal vento; il cane e il suo abbaiare non è in conflitto con la voce del vostro interlocutore; e il plop delle gocce d’acqua non è in conflitto col silenzio. Sono tutti suoni contemporaneamente presenti indipendenti l’uno dall’altro, dotati tutti insieme di una loro armonia generale. Ma finchè ci si concentra solo su uno, tendenzialmente quello ritenuto arbitrariamente come il più fastidioso, si perde tutta la poesia e ci si incazza per niente, per un mondo che non è nemmeno reale: è presente solo nella vostra testa, è immaginato. E pieno di conflitto. D’altronde l’immaginazione cosa fa di solito? Crea oggetti e realtà che non esistono, che non sono reali, giusto? Se il conflitto esistesse davvero, perchè dovremmo crearlo?

09 aprile 2014

Cosa vuoi fare da grande?

L’altra mattina ho meditato. Così, dal nulla. Mi sono svegliato, ho sgranchito braccia e gambe, realizzato dove fossi e in quale era geologica e poi, in un attimo, è spontaneamente sorto il pensiero. Come un dolce bisogno, innocente, di quelli che non creano dipendenza, una sorta di “una botta e via” spirituale. Nessuno me l’ha chiesto e men che meno ordinato, nemmeno io stesso. E’ semplicemente venuto a galla dalle profondità. Nel mentre della meditazione, e specialmente dopo, è emerso un meraviglioso silenzio e ho sentito di nuovo delle sensazioni che non provavo da tanto, da mesi e mesi, tanto da averle quasi dimenticate, sommerse da mille parole, mille pensieri, distrazioni di ogni sorta, convinzioni e convincimenti vuoti di sentimento.

E’ riemersa dal fondo della spazzatura quella… “cosa”, non saprei come definirla. Visivamente la prima immagine alla quale mi viene da pensare è una sfera, piccola ma raggiante, immobile, imperturbabile, calda e rassicurante. Una voce familiare, che infonde tranquillità, leggerezza e una pace amorevole. L’autorità, la vera e sola autorità, di fronte alla quale la mente si inginocchia all’istante e verso cui rende omaggi e ringraziamenti sentiti. L’allentamento nervoso tanto bramato dal corpo, un luogo di riposo totale nel quale lo stress non ha possibilità di entrare.

Il bello è che si può sentire distintamente come essa sia sempre lì e sia sempre stata lì. Le “cose del mondo”, in senso lato, mi hanno portato piuttosto facilmente a perderla di vista nel corso del tempo e, anche nei (pochi) momenti in cui ho avuto occasione di stare solo con me stesso, queste “cose del mondo” hanno sempre fatto la parte del leone attraverso il continuo ed incessante blaterare mentale, fatto di incredibili voli pindarici tra un’inezia e una preoccupazione, e poi un’altra peggiore, fino a cattivi giudizi su persone e rifiuto schifato del mondo, allietati dalle belle parole di qualche canzone, da qualche piccolo piacere della giornata, dallo sbiadito ricordo di meraviglie passate e subito dopo volti alla sfiducia verso ipotetiche bellezze future. Sapete come funziona la mente: vaga. Perdersi nei meandri delle vuote parole senza nemmeno accorgersene è molto più semplice di quanto possa sembrare.

Ma questa “cosa” riemersa di sua volontà ha riacceso la fiamma. Avendo finito gli studi universitari e dovendomi ora confrontare direttamente col pesante pensiero riassumibile nella domanda “Cosa vuoi fare da grande?”, non poteva esservi momento migliore per vivere il risveglio della Sensazione, con la S maiuscola. Ma, d’altronde, il tempismo della realtà è sempre paurosamente perfetto. Mi sono perso in mille prospettive poco o nulla attraenti, un marasma svogliato di giudizi e congetture, perso in mezzo a un enorme labirinto senza avere la minima indicazione plausibile. Una folla innumerevole di pensieri e un rumore assordante mi hanno incessantemente riempito, togliendomi lucidità ed energie, distraendomi e abbattendomi. Alla luce delle varie e molteplici “rivelazioni”, chiamiamole così, degli ultimi anni a livello personale, lo scorcio che mi si parava davanti relativo ai travagli necessari per sistemarmi in un lavoro mi dava ribrezzo. Il lavoro come è inteso oggi fa letteralmente schifo, ne avevo già scritto. E il conflitto potente, da guerra mondiale, in me vedeva due fazioni in una lotta all’ultimo sangue: da un lato l’ipotetico lavoro svolto solo e soltanto per contribuire al bilancio famigliare, e dall’altro le straordinarie meraviglie profonde della vita con le quali ho avuto la fortuna di entrare in contatto.

La constatazione di massima era, ed è ancora, un qualcosa del tipo: se ho avuto la possibilità di sondare in prima persona l’insondabile, di vedermi date esperienze di pura meraviglia ancor prima di chiederle, di vedermi aperte delle porte dorate ancor prima di aver bussato, un motivo dovrà pur esserci. E non voglio buttare tutto all’aria, rinnegare delle sensazioni vere più vere del vero, più vere della Verità stessa, solo per chinare il capo di fronte a degli stramaledetti pezzi di carta senza valore, impelagato in un inutile quanto non stimolante nè particolarmente attraente lavoro. Senza contare la pressochè totale mancanza di qualsivoglia idea intrigante in merito. Non voglio farlo, mi rifiuto. “E adesso?”, mi domandano. “Non lo so, non ne ho idea”, rispondo. Nulla mi convince davvero. Nulla stuzzica veramente la volontà.

Se non la voglia di indagare sempre più sulle profondità dell’esistenza. Il desiderio di trovare la “terra promessa”, l’unico luogo davvero degno della parola “casa”. Questa è sola attività che mi provoca il tarlo nel cervello, la sola a colpire positivamente la mia volontà. La fiamma prima spentasi per mano del vento del mondo è ora tornata ad accendersi, rianimata dalla scintilla proveniente da chissà dove, ma di sicuro residente fissa nel profondo dell’essere. Sentire questa “cosa” e percepirne sottilmente la maestosa grandiosità, pur non afferrandola in pieno, porta una sorta di invito, un invito alla Conoscenza con la C maiuscola, l’unica e sola e vera. La fame per questa Conoscenza è la mia guida. Per qualche tempo, troppo tempo, questa fame è stata saziata artificialmente, confondendomi i sensi e deviandomi dal dolce ardore della piccola sfera raggiante. Il risultato di ciò è stato quello di sfiduciarmi, di rendere me stesso e il mondo intero molto più grigio di quanto effettivamente sia.

La fiamma, però, ha bruciato l’enorme conflitto di portata da guerra mondiale e trasformato il grigio in tanti colori. “Cosa vuoi fare da grande?”. Non lo so, non ne ho idea. Ma la differenza è che ora non m’importa. Persisto nel non avere prospettive davvero interessanti. La carriera non rientra nelle priorità, ogni lavoro è solo un lavoro e non merita di essere elevato a scopo della vita. E non ci sono lavori “normali” che davvero mi stuzzicano il tarlo. Ma non importa.

Quello che davvero adoro fare è diventare intimamente consapevole di me e, come naturale ed automatica conseguenza, dell’intera Creazione. E, man mano che questa “attività” procede, provare a tirare fuori con le migliori parole possibili le sensazioni da essa generate. Qualunque lavoro “canonico” andrà ad occupare alcune ore della mia giornata sarà solo un lavoro e nulla di più, una qualche cosa da fare, possibilmente piacevole, senza prenderla troppo sul serio. Non è questo lo scopo della vita. Almeno non della mia. Ci sono molte cose decisamente più importanti e più degne, oltre che più vere, e riuscire a tirarle fuori in qualche modo, magari artistico e creativo così da non rischiare di far apparire tutto come la solita lezione di spiritualità da due soldi, è ciò che più mi piacerebbe diventasse il mio “lavoro”. Un’attività di servizio, messaggi profondi derivati dalle piccole grandi sensazioni di verità incanalati sotto la pelle di una storia gradevole.

“Cosa vuoi fare da grande?”. Non lo so, non ne ho idea. Mi basta solo Conoscere. Il resto viene da sè.

E voi? Cosa volete fare da grandi?