24 settembre 2014

Libertà, questa sconosciuta - Piccolo addendum: il gioco della coppia, il vero amore e il matrimonio

Come preannunciato nello scorso articolo, ecco arrivare nelle vostre case l’ultimo appuntamento della saga in testa a tutte le classifiche di vendita nel mondo, tradotta in 114 lingue e citata perfino dai miliziani dell’ISIS come “esempio di libertà di espressione e manifestazione di pensiero”. Oh, l’hanno detto veramente: l’intelligence americana ha dichiarato “autentiche” le trascrizioni audio, quindi c’è da fidarsi…

Vabbè, basta con le vaccate (l’intelligence americana, pff!) e andiamo al sodo. Nel P.P.S. dell’ultimo post avevo scritto che poi il fatidico messaggio alla tipa lo avevo mandato e che, se l’opzione dovesse dimostrarsi praticabile (ed è un “se” abnorme per vari motivi che esulano da questo contesto), mi piacerebbe molto passare tanto tempo con lei, fino a diventare una coppia fissa. Nulla di strano, direte voi. Ma se fosse tutto nella norma non starei qui a scrivere, non vi pare? Quindi, ecco la riflessione di oggi.

Le varie cotte avute in passato contenevano sempre una discreta, o anche più che discreta, componente sessuale la quale, come ho scritto poco tempo fa, ha l’incredibile capacità di offuscare la realtà delle cose davanti i nostri occhi, togliendoci lucidità e guidandoci dove più aggrada all’animale. Per cui spesso, appena si entra in simpatia reciproca con, nel mio caso da maschietto, una ragazza carina, bam! alla semplice simpatia si aggiunge piano piano la scimmia dell’accoppiamento e la nostra lucidità va a farsi benedire. Ricordatevi: per quante belle parole possiamo sprigionare dalle labbra, cari maschietti e care femminucce, la realtà dei fatti è una e soltanto una: per come siamo messi al momento, l’animale è predominante, ci guida e ci porta dove vuole lui senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, dato che ne siamo totalmente identificati.

Stavolta, però, con mia somma sorpresa, la scimmia dell’accoppiamento è molto, ma molto, ma molto quieta. Quindi, la situazione è più o meno così: ‘sta ragazza mi piace tanto; sogno diventi la donna della mia vita; manca il desiderio sessuale. Il che dovrebbe suonare in contrapposizione con l’idea normale di “coppia”, giusto? Una coppia vera di innamorati scopa e ci dà dentro alla grande, e che diamine!

Eppure, per me, non è così. Dunque sorge il quesito se i rapporti sessuali e il costante desiderio sessuale siano una delle prerogative fondamentali per definire due persone innamorate una “coppia”. Devo dire che provare affetto e desiderio di stare con lei per la persona che è, senza avere l’impulso di “possederla” (mamma mia come non mi è mai piaciuto questo concetto…), è decisamente meglio che trovarsi schiavizzati dalla voglia alterante di strapparle i vestiti a morsi. Non lo so, visti gli ultimi articoli non vorrei sembrare un bacchettone anti-sesso impegnato nella crociata per la purezza dell’anima o robe simili, perchè non lo sono: voglio solo raccontare le mie sensazioni personali e credo che sul sesso ci sia una confusione mostruosa, oltre che una schiavitù imperante mascherata da divertimento, libertà e leggerezza.

Solo che l’idea di due persone che si piacciono reciprocamente al punto di potersi dire innamorate, escludendo però la componente sessuale e l’irrefrenabile desiderio di sbriciolarsi i vestiti di dosso a vicenda, più che all’etichetta di “innamorati” porta verso quella di “amici”. Stretti, ma amici. Sarà, ma a me essere innamorato e non avere fra i piedi la scimmia dell’accoppiamento piace molto, ma molto, ma molto di più. Si è più lucidi, si capisce meglio che tipo di persona sia l’altra, se ne apprezza di più l’unicità. Invece di volere infilare il coso nella cosa a ripetizione, l’istinto porta di più verso un bell’abbraccio sentito, di accettazione e affetto, di dare più che di ricevere, di riconoscimento della bellezza altrui. Si vede la bella persona, non la bella figa, detto più terra terra.

Al che mi è tornata in mente una citazione di Gandhi che avevo letto un paio d’anni fa nel libro “Antiche come le montagne”. All’epoca mi sembrò molto strano, quasi un’eresia, ma ora non è più così assurdo.

“So per esperienza che fino a quando considerai mia moglie carnalmente, non ci fu tra noi vera comprensione. […] Fino a quando desiderai il piacere carnale, non potei esserle di alcun giovamento. Nel momento in cui dissi addio a una vita di piaceri carnali, tutti i nostri rapporti diventarono spirituali. La sessualità morì e al suo posto regnò l'amore.”

Non credo intendesse tanto “non fare più sesso”, quanto “non essere più dipendenti dal desiderio sessuale”. Il celibato, come ho già scritto, è una pratica ormai sputtanata che ha, però, un fine profondo: capire come l’istinto sessuale funzioni ed eliminare la nostra dipendenza da esso, comprenderlo appieno e liberarsi automaticamente (naturalmente) dal suo giogo. Solo allora è davvero possibile avere con esso un rapporto di armonia. Inoltre ci consente di avere una maggiore lucidità e “libera” spazio e tempo per la comprensione di sè. Una volta raggiunto questo punto, non è che si mette una croce sul sesso e finita lì, no no: si può farlo tranquillamente ma non si avrà il desiderio di farlo “perchè così sto bene” (ovvero “perchè ne ho bisogno”): lo si farà e basta. La felicità personale non dipenderà più dal sesso.

Che, detto così “lo si farà e basta”, sembra brutto, una specie di sdoganamento della pratica sessuale. Non è così, è l’esatto contrario: è la sublimazione, la sacralizzazione del sesso. La frequenza dei rapporti cala naturalmente perchè non se ne sente più il bisogno ossessivo che abbiamo al momento (questo è il vero sdoganamento) e allora sì che il sesso assume un significato più profondo, speciale, “magico”, vero.

La dipendenza dall’animale è il motivo per cui 1) tradiamo fisicamente il/la nostro/a partner e 2) consideriamo questo tradimento inaccettabile. E’ una situazione penosa, ma è la realtà dei fatti: siccome il legame di coppia è basato per di più sul sesso (è inutile girarci intorno e fare i romanticoni), appena si scopre che il/la partner ci cornifica bellamente, tendenzialmente il rapporto finisce lì. Non sempre, per carità: ci sono coppie apparentemente felici nelle quali ci si cornifica a vicenda a nastro ed entrambi ne sono perfettamente consapevoli, ma lasciamole fuori. Il punto è: il tradimento dell’adulterio è percepito come pesante, molto pesante. Se, invece, togliessimo lo sbilanciamento estremo dell’istinto sessuale e riuscissimo a fondare un rapporto di coppia sulla bellezza vera del/della partner, magicamente il tradimento fisico non rientrerebbe più nelle opzioni e, nella remota possibilità che accada, non avrebbe per nulla quel carico impressionante di importanza che ha ora.

E’ tutto un altro livello di discorso… Allora e solo allora si comprendono, si apprezzano e si accettano intimamente i voti nuziali: “nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finchè morte [fisica, ndM] non ci separi”. Si sente che non sono assurdità, nè tantomeno imposizioni morali forzate, ma sono la natura intrinseca della vita di coppia, il vero matrimonio. E’ come il sacerdozio e il celibato sacerdotale: è una pratica fisica simbolica di un qualcosa di più alto, etereo, intimamente reale. Non ci si dovrebbe sposare per nessun’altra ragione che non sia un amore “animico”, superiore all’attrazione fisica e da essa indipendente.

Ma oggi il concetto di “amore” riferito alla coppia è enormemente distorto e inflazionato e si mettono cuori su cuori ovunque e totalmente a casaccio. Basti pensare alla festa di San Valentino e al puttanaio consumistico che è per tutti. Ci si sposa per ottocentonovantasettemilaquattrocentocinque motivi e tra questi manca completamente quello più importante, l’unico davvero rilevante: l’amore. Finchè non si riesce ad accorgersi (comprendere) che non stiamo davvero vivendo noi la nostra vita, ma che siamo succubi della macchina biologica mente/pensieri + corpo/emozioni, è IMPOSSIBILE amare veramente. Mi dispiace essere così duro, ma è la realtà. Finchè non c’è un ridimensionamento, un riequilibrio, una comprensione un filino più profonda dell’istinto sessuale, non ce n’è: l’attrazione per il/la partner sarà sempre pesantemente alterata dalla scimmia dell’accoppiamento e il risultato NON PUO’ essere chiamato “amore”.

C’è chi dice che la più alta forma d’amore sia l’amicizia, quella vera. Non è un concetto così lontano dalla realtà…

Quindi, per concludere, è tutto perfettamente collegato: il celibato, il matrimonio, la “salvezza dell’anima”, il sacerdote, l’Atman, il nirvana, i Cieli, il Giudizio, Satana, Cristo, il samsara, i peccati, Lazzaro, la fede, i demoni, i Comandamenti, l’inferno, il Bene, il Male, l’universo, la vita, la carne, lo spirito. Tutto, tutto, tutto. Ormai da qualche anno, con una netta intensificazione negli ultimi 2, su questo blog si sta parlando di una sola cosa: di TE. Puoi rimanere cieco e sordo, invischiato nella superficie della materia, a girare eternamente nella ruota del criceto, schiavo della macchina biologica, identificato totalmente con essa e perfettamente inconsapevole; puoi comprendere di essere qualcos’altro, al di fuori di qualsiasi meccanica, un indefinibile essere vivente, la vita pura al di sopra della materia, intoccabile, immutabile, in armonia con la perfezione intrinseca dell’universo.

Ignoranza o comprensione, morte o vita, lettera morta o parola viva, schiavitù o libertà: prego, a voi la scelta.


P.S.: già che ci sono vi metto un’altra citazione di Gandhi. L’ho letta adesso mentre cercavo quella che ho messo prima, nel post. Riguarda il digiuno e quale sia la sua vera utilità, ma è un discorso che vale in tanti altri ambiti, sesso e pulsione sessuale inclusi.

E’ noto a tutti che, privati di cibo, essi [i sensi] sono impotenti, e così il digiuno intrapreso allo scopo di controllare i sensi è senza dubbio molto utile. Ad alcuni il digiuno non serve a nulla, perché, presumendo che basti il digiuno meccanico a renderli immuni, essi privano il corpo di cibo, ma intrattengono la mente su ogni sorta di ghiottonerie, continuando a pensare a quello che mangeranno e berranno finito il digiuno. Un tale digiuno non serve loro a controllare né il palato né la lussuria. Il digiuno è utile quando la mente collabora con il corpo affamato, vale a dire quando coltiva l'avversione per gli oggetti che sono negati al corpo. La mente è alla radice di ogni sensualità. Il digiuno, perciò, ha un'utilità limitata, perché un uomo che digiuna può continuare a essere governato dalla passione.

10 settembre 2014

Libertà, questa sconosciuta - Parte III: quando l’animale tira

Continua la saga de “Libertà, questa sconosciuta” con il terzo capitolo, dopo il successo planetario dei precedenti due episodi (“planetario” nel senso che, in linea teorica, è possibile leggere gli articoli in ogni parte del globo). Oggi ci distacchiamo un po’ dall’aspetto più prettamente sessuale per spostarci verso la sfera del pensiero e dell’emozione e vedere in che modo l’animale (mente+corpo) tiene costantemente le redini e ci tira meccanicamente dove vuole lui.

Qui di fianco, nella colonna destra della pagina, c’è un piccolo box intitolato “informazioni personali”, una specie di spazio dove mettere una sommaria descrizione del tizio che sta dietro il blog. Da alcuni mesi se non addirittura da un anno, ho scritto: “posso tranquillamente affermare di non sapere chi o cosa io sia”. Bene, l’altro giorno questa consapevolezza si è fatta concreta come non mai.

Senza scendere troppo in inutili dettagli, mi sono ritrovato per l’ennesima volta in una situazione di stallo, preso in mezzo tra il fuoco del coraggio e dell’apertura e quello della paura e chiusura dall’altro. Il nodo della faccenda: mandare un messaggio di chat a una ragazza che conosco. Già altre volte, in passato, mi è successo di avere problemi nel relazionarmi con ragazze che, nella mia testa, vedevo come possibili compagne di vita. Niente robe da maniaco stalker, sia chiaro, ma il pensiero di propormi per una relazione diversa dalla semplice amicizia mi ha sempre bloccato. Amica sì, finchè vuoi: compagna no.

Comunque sia, il meccanismo che si è sempre presentato in queste occasioni funzionava più o meno così: quando mi ritrovavo a casa, per i fatti miei, pensavo dovessi in qualche modo fare a capire alla signorina di turno il mio interesse nei suoi confronti; quando poi arrivava il momento di agire, blocco totale, figlio del signor Mille Paurosi Film Mentali e di sua moglie Paura Del Giudizio. Puntualmente mi ritrovavo nel letto, giusto prima di concedermi a Morfeo per la notte, ad auto-commiserarmi e a darmi del cretino per la mancata azione, promettendomi di porla in essere l’indomani o alla prima occasione utile. Inutile aggiungere come la promessa non venisse mai mantenuta.

L’altro giorno stava succedendo ancora: quando ero in una situazione nella quale era impossibile anche solo pensare di mandarle il messaggio, volevo tanto farlo; non appena avevo tra le mani il telefonino o la tastiera del computer, esitavo. Una volta, due volte ed eccoci alla terza. E’ sera, sono a casa e il telefonino è lì: riuscirò a prenderlo, aprire la chat, digitare il messaggio virtuale e premere “Invia”? Sì, dai! No! No no no! E’ meglio di no. E sono partite mille scuse e mille paure, ma ero convinto: meglio non mandarlo adesso, magari domani. Passano, boh, un paio d’ore e vado a letto. Sono lì sdraiato faccia al soffitto e sento che è il momento del programma “auto-commiserazione e auto-insulti motivazionali” ma stavolta c’è un non so che di diverso: mi accorgo. I pensieri sono lì, li sento chiaramente e sono della stessa fattura delle altre volte: “avresti dovuto scriverle, stupido! Perchè non l’hai fatto? Di cosa hai paura?” eccetera eccetera. La differenza è che, ora, potevo sentirli distintamente senza esserne afflitto. “Aah, eccoli qui. Sono praticamente gli stessi pensieri e le stesse emozioni che ho già provato tante altre sere in passato, quando si sono verificate situazioni simili”.

E mi sono accorto che questi pensieri e queste emozioni, praticamente il contrario di quelli delle “scuse e paure”, erano riusciti sempre a convincermi anche loro. E’ sempre andata così: quando ero sul punto di compiere l’azione, mi convincev(an)o a lasciar stare; quando era impossibile compierla, mi convincev(an)o a farla. Ma ne ero sempre convinto, per me era sempre giusto, con la massima fiducia: nel momento “scuse e paure” ero totalmente persuaso fosse meglio rimandare; nel momento “auto-commiserazione e auto-insulti motivazionali” ero totalmente persuaso fosse meglio scriverle/parlarle o vattelapesca.

Nell’attimo in cui è arrivata questa presa di consapevolezza, è sorto automaticamente un pensiero: ma allora io chi/cosa sono? E dove sono? In un momento presente sono totalmente convinto sia giusto agire in una determinata maniera perchè, pensandoci e sentendo le emozioni, è l’unica cosa saggia da fare; in un successivo momento presente sono totalmente convinto sia giusto agire in una maniera opposta alla precedente perchè, pensandoci e sentendo le emozioni, è l’unica cosa saggia da fare. Ma io, in tutto questo, dove sono? Il tizio che ha vissuto i due momenti delle persuasioni opposte, e ha automaticamente dato loro ragione, dov’è e che cos’è? Perchè non lo sento? Perchè non riesco a percepirlo? Finora ho sentito solo un “me” convinto di una cosa; poi questo primo “me” è sparito e ce n’era un altro convinto praticamente del contrario; poi è tornato; poi è sparito di nuovo; tornato, sparito, tornato, sparito e via dicendo.

Ma quell’esserino che ha vissuto entrambe le persuasioni… cos’è? Quel tipo che ha mosso il corpo e la mente in entrambe le occasioni… dov’è? IO dove sono? Perchè mi sono accorto di essere sempre stato tirato in ogni dove da qualcos’altro che non sono propriamente io: l’animale, cioè la mente (riempita da anni e anni di puttanate) e il corpo (con emozioni alterate dalle puttanate mentali). E’ questo che si attacca morbosamente a una convinzione, non noi. Ma siccome noi ci percepiamo a malapena solo ed esclusivamente come animali (mente/pensieri+corpo/emozioni), questa convinzione diventa nostra, convince anche noi. In questo modo, l’animale ci tira dove vuole lui e/o dove gli è stato insegnato.

In questo modo la vita che anima il corpo e la mente è “offuscata”, non riesce ad esprimersi nella sua completa magnificenza e perfezione perchè una parte, anche piuttosto corposa, della sua energia finisce per prendere la spirale discendente dell’animale. E badate bene: io ho scritto qui sopra solo un piccolo esempio, ma ciò di cui sto parlando è un’eventualità nella quale cadiamo inconsapevolmente decine e decine di volte ogni singolo giorno.

Attenzione: con “convinzione” non intendo “sono convinto che la Terra sia piatta”, ma piuttosto “sono convinto sia giusto/meglio fare così, dire questo e non quest’altro, comportarmi in un modo e non in un altro” e così via in un determinato momento presente. E’ una convinzione radicata, un’ovvietà talmente ovvia da identificarvicisi totalmente e senza nemmeno accorgersene.

E attenzione: l’animale non è cattivo, non lo fa perchè ce l’ha con noi o vuole il nostro male, per cui bisogna ingaggiare una guerra contro la nostra mente e le nostri emozioni. La natura biologica, figlia di questo mondo, nata qui e destinata a morire qui, prevede una modalità base di vita o sopravvivenza, da chiamare in causa in situazioni particolari e non per troppo tempo. Per il resto, nella vita “normale”, dovrebbe essere il pastore a guidare, a insegnare all’animale a vivere veramente.

Purtroppo, però, il pastore si è addormentato da parecchio: diciamo che dopo i primi anni di vita qui, nei quali l’animale ha avuto lo scopo di metterlo a proprio agio nel corpo, nella mente e nel mondo fisico, avrebbe dovuto subentrare lui al timone così da svolgere pienamente il proprio compito e consentire all’animale di capirne di più sulla profondità della vita, elevandolo a vette altrimenti inesplorabili, sacralizzandolo. Ma il tempo passa, l’animale impara da altri animali giusto un paio di cose da animali e intanto continua a trovarsi costretto a fare le veci del pastore, il quale intanto persiste tenacemente nel suo pisolino. Sperduto, ignorante e impaurito, l’animale si barcamena come può e come sa, e sa veramente poco. L’unico suo scopo è la sopravvivenza in un freddo bosco notturno, circondato da bestie come e peggio di lui. Il poveretto cerca in tutti i modi di svegliare finalmente il suo pastore, con continue zampate e richiami colmi di disperazione. Ogni tanto il volto del padrone mostra dei piccoli segnali di coscienza e a volte capita addirittura di vedergli aprire leggermente gli occhi, per poi richiuderli nuovamente. In quei piccoli ma preziosi momenti, l’animale cede naturalmente il passo all’autorità del suo pastore e finalmente si sente sollevato di non avere più un carico così pesante sulle spalle. E questi segnali, seppur minimi, donano energia e passione alla bestiola, la quale cerca ancora più veementemente di far svegliare il suo fautore.

E voi, volete continuare a dormire?

P.S.: il messaggio alla ragazza, poi, l’ho mandato e in men che non si dica me la sono brutalmente scopata. Adesso fanno 132 in tutto. Perchè un uomo si misura da quante donne si fa, giusto?

P.P.S.: no, sarcasmo a parte: il messaggio gliel’ho mandato veramente e, dalle successive conversazioni fisiche e digitali ho capito meglio quanto sia una ragazza meravigliosa e delicata. Diventeremo mai una coppia? Boh. Onestamente è già un grandissimo privilegio averla come amica. Non nascondo mi piacerebbe averla con me più tempo possibile, ma almeno per il momento è una circostanza impraticabile… Storia lunga.
Avrei qualcos’altro da scrivere ma mettendo giù tutto mi sono accorto che questo P.P.S. sarebbe diventato troppo lungo, snaturando la sua qualità principale: la brevità. Quindi aspettatevi un piccolo “addendum” tra qualche giorno.

05 settembre 2014

E’ la Chiesa dei morti, altro che “Santo Padre”…

Chiariamo un momento cosa significa essere un prete, ovvero la figura che esso rappresentava, o doveva rappresentare, in origine prima di venire completamente distrutta da un gruppo sempre più grande di pecoroni con e senza croce al collo. Prendo spunto dalle dichiarazioni di qualche tempo fa da parte di Papa Francesco sulla possibile ridiscussione del celibato sacerdotale in senso meno restrittivo, dando quindi un cenno di apertura all’eventualità di avere preti sposati e con figli.

Il celibato sacerdotale, come ben sappiamo, ha una tradizione millenaria ed è uno dei paletti fondamentali per chiunque voglia intraprendere la carriera impiegatizia nella Chiesa Cattolica Corporation. Ridiscuterla così, di colpo, è dunque una decisione di non poco peso, al che mi sono chiesto se le persone si rendano davvero conto del perchè il celibato esista, di quale sia il suo significato profondo. Di pari passo, non penso sia ben chiaro il mestiere del prete, che più che un mestiere istituzionalizzato dovrebbe essere una vocazione personale.

Il prete è una persona non diversa da un monaco buddhista: entrambi dedicano la propria vita alla ricerca del lato divino della vita, seguono un piccolo tarlo interiore e vedono dove questo li porta. Il prete è fondamentalmente un guerriero spirituale, positivamente insoddisfatto del mondo per come gli viene descritto e in viaggio verso una comprensione migliore, più profonda, più vera. E’ un ricercatore, di larghe vedute, di mente aperta, grande passione, costante dedizione e forte umiltà di fronte alle lezioni necessarie da imparare sulla via della conoscenza.  L’unica sua guida è il suo sentire interiore.

Il celibato, che non è nemmeno propriamente un dogma ma comunque una pratica sostanzialmente obbligatoria, ha lo scopo di permettere al presbitero di focalizzarsi sull’idea della completezza dell’individuo, il quale non ha minimamente bisogno di essere completato da un altro essere umano. La storia delle due metà della mela è affascinante, romantica e ispiratrice ma fondamentalmente falsa perchè suggerisce l’incompletezza, e quindi l’imperfezione, di ogni essere umano, il quale si troverà nella vitale necessità di trovare la sua anima gemella (o altra metà) per completarsi. L’illuminazione, i Cieli eccetera sono invece etichette per dare un nome a uno stadio superiore dell’essere nel quale ci si rende conto di essere già totalmente completi senza dover dipendere dalla presenza di niente e nessuno. Invece di porre la propria felicità e il proprio amore alle dipendenze dei capricci di altre persone, si diventa consapevoli della presenza interiore dell’amore perfetto: per cui, invece di provare a colmare il vuoto interiore con la considerazione altrui (quello che noi chiamiamo comunemente “amore”), proprio in virtù dell’acquisita completezza interiore e del contemporaneo sentimento di un infinito amore incondizionato si possono davvero amare gli altri. Da schiavi dell’”amore”, che è il nostro stato attuale, si diventa “irradiatori” di amore vero.

Il vero prete-guerriero-ricercatore ha questo stato divino come stella polare della sua vita, e il celibato non è quindi una privazione o una repressione degli istinti, ma una pratica attraverso cui comprendere meglio lo stato di schiavitù nel quale si trova come essere umano inconsapevole. E’ un mezzo, non un fine.

Veniamo ora al prete come lo intendiamo normalmente noi, povere teste di cazzo. Come si fa a diventare prete? Già il fatto che si sia identificato un percorso prestabilito per diventare prete è una bestemmia universale perchè appiattisce completamente il presupposto di base del vero cercatore della verità: la guida interiore, il tarlo. Sono previsti, infatti, degli studi istituzionalizzati della durata di 8 anni: 4 di università più 4 di seminario, oppure 8 di seminario. Se anche hai una sincera vocazione per dedicare la tua vita alla ricerca, la tua voglia di conoscenza viene distrutta qui. Già che devi andare a scuola per studiare la vita è un’offesa alla vita stessa perchè, invece di seguire la vocina interiore e i lampi di comprensione personale che regala, sei obbligato ad assimilare mentalmente delle nozioni di altre persone, senza avere un vero sentire interiore. Per cui è completamente inutile. Per di più queste nozioni sono un abominio mostruoso spacciato per verità assoluta e i tempi attraverso i quali vengono insegnate sono strutturalmente bloccati, istituzionalizzati, non spontanei, non personali. Il risultato sono uomini-pappagallo, tutti uguali o, meglio, tutti rincoglioniti uguali.

E’ la vittoria dell’istituzione sulla comprensione, del ruolo sulla persona: diventi prete perchè lo diciamo noi e solo dopo che impari le cose come le vogliamo noi. E’ la vittoria della scrittura morta sulla parola viva, come dice il tizio principale della tradizione cristiana, nel vangelo degli Esseni:
E Gesù riprese: «Non cercate la legge nelle vostre scritture, perché la legge è vita mentre la scrittura è cosa morta. Vi dico, in verità, che Mosè ricevette le sue leggi da Dio non in forma scritta ma attraverso la parola vivente. La legge è la parola viva dei Dio vivente, è rivolta ai profeti vivi ed è indirizzata agli uomini viventi. La legge è scritta in tutto ciò che vive, la ritroviamo nell'erba, nell'albero, nel fiume, nella montagna, negli uccelli del cielo e nei pesci dei mare; ma dobbiamo cercarla soprattutto in noi stessi […] Ma voi chiudete gli occhi per non vedere e vi otturate le orecchie per non sentire. lo vi dico, in verità, che mentre la scrittura è opera dell'uomo, la vita e tutte le sue schiere sono opera dei nostro Dio. Perché dunque non ascoltare la parola di Dio scritta nelle sue opere? e perché studiare le scritture morte, che sono il lavoro delle mani dell'uomo?»

(“Ma il vangelo degli Esseni non rientra in quelli ufficialmente approvati dalla Chiesa blablabla”. Benissimo, cagacazzi a pappagallo, scribi e farisei de noantri, andate a prendere Matteo 15, 1-9 e troverete praticamente lo stesso concetto solamente meno esplicitato)

Per questo i preti, i vescovi, i cardinali sono tutti morti: perchè non guardano al mondo e alla vita con una sincera spontaneità e desiderio di conoscenza, ma si adagiano su parole altrui da altrui interpretate, le imparano a memoria e finisce lì. Poi saranno anche brave persone, non lo metto in dubbio e non è sulla singola persona che scaglio la mia lancia elettronica. Il focus è il ruolo del sacerdote in generale.

Il Papa, di conseguenza, è il leader supremo dell’esercito dei morti. In teoria, originariamente, il Papa doveva essere il Santo Padre, ovvero colui che tra tutti i cercatori del divino aveva raggiunto il punto più alto, l’uomo più consapevole, con maggiore comprensione della realtà, il vero Leader con la “L” maiuscola: umile, aperto alla conoscenza, non desideroso dell’attenzione altrui e vero. Doveva essere il miglior esponente fisico della vibrazione fondamentale dell’universo, il più puro e limpido “canalizzatore” di quello stato dell’essere più alto. Questo originariamente.

Oggi è un cialtrone. E’ il re dei morti per un motivo molto semplice: è stato talmente bravo ad assimilare le vaccate del seminario, così perfetto nell’annullare le proprie intuizioni e conformarsi all’istituzione da essere addirittura premiato come massimo rappresentante della dottrina istituzionale stessa. È il morto dei morti al quale una grande massa di altrettanto morti presta dedizione e venerazione. Non è neanche lontanamente degno dell'appellativo di "santo padre" perché di santo non ha proprio nulla: è un morto eletto da altri morti come lui e seguirlo pedissequamente significa perseverare nella morte. E’ un cieco che guida altri ciechi. Questa Chiesa non è la Chiesa di Dio: è la Chiesa di Satana, se vogliamo usare l’immaginario classico, formata da persone morte che, invece di sentire i concetti di cui parlano, li ripetono a memoria pari pari a come li hanno imparati. I fedeli fanno lo stesso, perpetuando convinti quella marea informe di distorsioni e credendo che Babbo Natale, un giorno, scenderà dalle nuvole a rimettere tutto a posto e a salvare le loro anime peccaminose.

Vale per tutti i papi, Bergoglio incluso. Sì, è simpatico (sicuramente mooolto più del teutonico Ratzinger), carismatico: sembra perfino una brava persona, telefona a tutti, dice di voler riformare la Chiesa per farla ripartire dai poveri, anche se poi alla prova dei fatti non mi sembra abbia raggiunto chissà quale risultato in questo senso… Ma a me non mi freghi, caro il mio pastore argentino: sei sempre un venditore di fumo e false promesse, esattamente come i tuoi predecessori. Non so, onestamente, se se ne renda conto o ne sia inconsapevole: spero nella seconda opzione, altrimenti sarebbe un biblico bastardo con una bella faccia, un lupaccio cattivo travestito dal più buono degli agnelli. Di sicuro non è una persona viva, ecco, su questo non c’è il minimo dubbio: lo si avverte ogni volta che apre bocca per esporre qualcuno dei classici messaggi tanto cari al popolo degli zombie con la croce al collo, oppure quando lancia uno dei mille “accorati appelli” o “moniti” ai governanti di tutto il mondo in base all’argomento più “cool”, più chiacchierato, più “in” nei locali televisivi e in quelli giornalistici. Morto, morto e ri-morto.

La persona viva è colei che rende vivo tutto ciò con cui entra in contatto, ovvero colei che sente dentro di sé il "messaggio" che quella cosa le sta dando. La stessa identica canzone, ad esempio, o un libro, una parola, una persona o qualsiasi altra cosa non hanno lo stesso significato per tutti: la persona viva è quella che, nel momento presente, interpreta il "messaggio" solamente in base al proprio sentimento e non rifacendosi ad altre interpretazioni o schemi passati e non sentiti interiormente ma solo ripetuti mentalmente. È colei che prende la "lettera morta" e la "rende viva" tramite l'interazione consapevole con essa, così che il significato sia sentito, contemporaneo, spontaneo. E quando parla, è possibile sentire la sua presenza nelle sue parole, sono caricate di una forza invisibile eppure palpabile anche dai profani più profani.

Lazzaro, la "salvezza dell'anima"... dicono niente? Sono tutte immagini create e usate per convogliare questo concetto: la consapevolezza, il sentire interiore, la vita e la morte, Cristo e Satana. Provate a capirli, a comprenderli invece di ripeterli a pappagallo: è tutto di guadagnato.