10 settembre 2014

Libertà, questa sconosciuta - Parte III: quando l’animale tira

Continua la saga de “Libertà, questa sconosciuta” con il terzo capitolo, dopo il successo planetario dei precedenti due episodi (“planetario” nel senso che, in linea teorica, è possibile leggere gli articoli in ogni parte del globo). Oggi ci distacchiamo un po’ dall’aspetto più prettamente sessuale per spostarci verso la sfera del pensiero e dell’emozione e vedere in che modo l’animale (mente+corpo) tiene costantemente le redini e ci tira meccanicamente dove vuole lui.

Qui di fianco, nella colonna destra della pagina, c’è un piccolo box intitolato “informazioni personali”, una specie di spazio dove mettere una sommaria descrizione del tizio che sta dietro il blog. Da alcuni mesi se non addirittura da un anno, ho scritto: “posso tranquillamente affermare di non sapere chi o cosa io sia”. Bene, l’altro giorno questa consapevolezza si è fatta concreta come non mai.

Senza scendere troppo in inutili dettagli, mi sono ritrovato per l’ennesima volta in una situazione di stallo, preso in mezzo tra il fuoco del coraggio e dell’apertura e quello della paura e chiusura dall’altro. Il nodo della faccenda: mandare un messaggio di chat a una ragazza che conosco. Già altre volte, in passato, mi è successo di avere problemi nel relazionarmi con ragazze che, nella mia testa, vedevo come possibili compagne di vita. Niente robe da maniaco stalker, sia chiaro, ma il pensiero di propormi per una relazione diversa dalla semplice amicizia mi ha sempre bloccato. Amica sì, finchè vuoi: compagna no.

Comunque sia, il meccanismo che si è sempre presentato in queste occasioni funzionava più o meno così: quando mi ritrovavo a casa, per i fatti miei, pensavo dovessi in qualche modo fare a capire alla signorina di turno il mio interesse nei suoi confronti; quando poi arrivava il momento di agire, blocco totale, figlio del signor Mille Paurosi Film Mentali e di sua moglie Paura Del Giudizio. Puntualmente mi ritrovavo nel letto, giusto prima di concedermi a Morfeo per la notte, ad auto-commiserarmi e a darmi del cretino per la mancata azione, promettendomi di porla in essere l’indomani o alla prima occasione utile. Inutile aggiungere come la promessa non venisse mai mantenuta.

L’altro giorno stava succedendo ancora: quando ero in una situazione nella quale era impossibile anche solo pensare di mandarle il messaggio, volevo tanto farlo; non appena avevo tra le mani il telefonino o la tastiera del computer, esitavo. Una volta, due volte ed eccoci alla terza. E’ sera, sono a casa e il telefonino è lì: riuscirò a prenderlo, aprire la chat, digitare il messaggio virtuale e premere “Invia”? Sì, dai! No! No no no! E’ meglio di no. E sono partite mille scuse e mille paure, ma ero convinto: meglio non mandarlo adesso, magari domani. Passano, boh, un paio d’ore e vado a letto. Sono lì sdraiato faccia al soffitto e sento che è il momento del programma “auto-commiserazione e auto-insulti motivazionali” ma stavolta c’è un non so che di diverso: mi accorgo. I pensieri sono lì, li sento chiaramente e sono della stessa fattura delle altre volte: “avresti dovuto scriverle, stupido! Perchè non l’hai fatto? Di cosa hai paura?” eccetera eccetera. La differenza è che, ora, potevo sentirli distintamente senza esserne afflitto. “Aah, eccoli qui. Sono praticamente gli stessi pensieri e le stesse emozioni che ho già provato tante altre sere in passato, quando si sono verificate situazioni simili”.

E mi sono accorto che questi pensieri e queste emozioni, praticamente il contrario di quelli delle “scuse e paure”, erano riusciti sempre a convincermi anche loro. E’ sempre andata così: quando ero sul punto di compiere l’azione, mi convincev(an)o a lasciar stare; quando era impossibile compierla, mi convincev(an)o a farla. Ma ne ero sempre convinto, per me era sempre giusto, con la massima fiducia: nel momento “scuse e paure” ero totalmente persuaso fosse meglio rimandare; nel momento “auto-commiserazione e auto-insulti motivazionali” ero totalmente persuaso fosse meglio scriverle/parlarle o vattelapesca.

Nell’attimo in cui è arrivata questa presa di consapevolezza, è sorto automaticamente un pensiero: ma allora io chi/cosa sono? E dove sono? In un momento presente sono totalmente convinto sia giusto agire in una determinata maniera perchè, pensandoci e sentendo le emozioni, è l’unica cosa saggia da fare; in un successivo momento presente sono totalmente convinto sia giusto agire in una maniera opposta alla precedente perchè, pensandoci e sentendo le emozioni, è l’unica cosa saggia da fare. Ma io, in tutto questo, dove sono? Il tizio che ha vissuto i due momenti delle persuasioni opposte, e ha automaticamente dato loro ragione, dov’è e che cos’è? Perchè non lo sento? Perchè non riesco a percepirlo? Finora ho sentito solo un “me” convinto di una cosa; poi questo primo “me” è sparito e ce n’era un altro convinto praticamente del contrario; poi è tornato; poi è sparito di nuovo; tornato, sparito, tornato, sparito e via dicendo.

Ma quell’esserino che ha vissuto entrambe le persuasioni… cos’è? Quel tipo che ha mosso il corpo e la mente in entrambe le occasioni… dov’è? IO dove sono? Perchè mi sono accorto di essere sempre stato tirato in ogni dove da qualcos’altro che non sono propriamente io: l’animale, cioè la mente (riempita da anni e anni di puttanate) e il corpo (con emozioni alterate dalle puttanate mentali). E’ questo che si attacca morbosamente a una convinzione, non noi. Ma siccome noi ci percepiamo a malapena solo ed esclusivamente come animali (mente/pensieri+corpo/emozioni), questa convinzione diventa nostra, convince anche noi. In questo modo, l’animale ci tira dove vuole lui e/o dove gli è stato insegnato.

In questo modo la vita che anima il corpo e la mente è “offuscata”, non riesce ad esprimersi nella sua completa magnificenza e perfezione perchè una parte, anche piuttosto corposa, della sua energia finisce per prendere la spirale discendente dell’animale. E badate bene: io ho scritto qui sopra solo un piccolo esempio, ma ciò di cui sto parlando è un’eventualità nella quale cadiamo inconsapevolmente decine e decine di volte ogni singolo giorno.

Attenzione: con “convinzione” non intendo “sono convinto che la Terra sia piatta”, ma piuttosto “sono convinto sia giusto/meglio fare così, dire questo e non quest’altro, comportarmi in un modo e non in un altro” e così via in un determinato momento presente. E’ una convinzione radicata, un’ovvietà talmente ovvia da identificarvicisi totalmente e senza nemmeno accorgersene.

E attenzione: l’animale non è cattivo, non lo fa perchè ce l’ha con noi o vuole il nostro male, per cui bisogna ingaggiare una guerra contro la nostra mente e le nostri emozioni. La natura biologica, figlia di questo mondo, nata qui e destinata a morire qui, prevede una modalità base di vita o sopravvivenza, da chiamare in causa in situazioni particolari e non per troppo tempo. Per il resto, nella vita “normale”, dovrebbe essere il pastore a guidare, a insegnare all’animale a vivere veramente.

Purtroppo, però, il pastore si è addormentato da parecchio: diciamo che dopo i primi anni di vita qui, nei quali l’animale ha avuto lo scopo di metterlo a proprio agio nel corpo, nella mente e nel mondo fisico, avrebbe dovuto subentrare lui al timone così da svolgere pienamente il proprio compito e consentire all’animale di capirne di più sulla profondità della vita, elevandolo a vette altrimenti inesplorabili, sacralizzandolo. Ma il tempo passa, l’animale impara da altri animali giusto un paio di cose da animali e intanto continua a trovarsi costretto a fare le veci del pastore, il quale intanto persiste tenacemente nel suo pisolino. Sperduto, ignorante e impaurito, l’animale si barcamena come può e come sa, e sa veramente poco. L’unico suo scopo è la sopravvivenza in un freddo bosco notturno, circondato da bestie come e peggio di lui. Il poveretto cerca in tutti i modi di svegliare finalmente il suo pastore, con continue zampate e richiami colmi di disperazione. Ogni tanto il volto del padrone mostra dei piccoli segnali di coscienza e a volte capita addirittura di vedergli aprire leggermente gli occhi, per poi richiuderli nuovamente. In quei piccoli ma preziosi momenti, l’animale cede naturalmente il passo all’autorità del suo pastore e finalmente si sente sollevato di non avere più un carico così pesante sulle spalle. E questi segnali, seppur minimi, donano energia e passione alla bestiola, la quale cerca ancora più veementemente di far svegliare il suo fautore.

E voi, volete continuare a dormire?

P.S.: il messaggio alla ragazza, poi, l’ho mandato e in men che non si dica me la sono brutalmente scopata. Adesso fanno 132 in tutto. Perchè un uomo si misura da quante donne si fa, giusto?

P.P.S.: no, sarcasmo a parte: il messaggio gliel’ho mandato veramente e, dalle successive conversazioni fisiche e digitali ho capito meglio quanto sia una ragazza meravigliosa e delicata. Diventeremo mai una coppia? Boh. Onestamente è già un grandissimo privilegio averla come amica. Non nascondo mi piacerebbe averla con me più tempo possibile, ma almeno per il momento è una circostanza impraticabile… Storia lunga.
Avrei qualcos’altro da scrivere ma mettendo giù tutto mi sono accorto che questo P.P.S. sarebbe diventato troppo lungo, snaturando la sua qualità principale: la brevità. Quindi aspettatevi un piccolo “addendum” tra qualche giorno.

1 commento:

Anonimo ha detto...

è tutto vero l animle non ti fa vivere nel presente(chiamo o non chiamo)e intanto in questo oscillare
il tempo passa e sorgono i rimpianti
siamo proprio "bestie".Almeno a te
il "pastore" un occhiatina te l ha
data! ciao e grazie per gli ultimi
post. Stefano